OLIO D’OLIVA PER LA SALUTE

Non sono solo i polifenoli: i benefici per la salute dell’olio d’oliva iniziano con l’acido oleico.

Il brusio intorno alla ricerca Predimed e ad altri studi recenti riguarda il ruolo che i polifenoli dell’oliva svolgono nel promuovere la salute e combattere le malattie croniche. Questa non è una novità; l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha approvato un’indicazione sulla salute relativa al contenuto di polifenoli già nel 2012 ( Regolamento della Commissione (CE) n. 432/2012 del 16 maggio 2012).   Ma gli studi positivi e promettenti sui benefici di questi micronutrienti unici continuano ad arrivare. Di conseguenza, molte aziende stanno cercando di trovare modi creativi per promuoversi a vicenda per quanto riguarda il contenuto di polifenoli (che ovviamente conferisce anche carattere e sfumature di gusto ai loro oli extra vergini di oliva).

Le prime ricerche sui benefici per la salute dell’olio d’oliva e sul suo ruolo nella dieta mediterranea, tuttavia, non si concentravano sui polifenoli, ma sull’alto contenuto di acido oleico. In effetti, è sulla base di ciò che la FDA ha approvato l’indicazione sulla salute qualificata per gli oli d’oliva nella prevenzione e nel trattamento delle malattie cardiovascolari già nel 2004 (e successivamente ha ampliato l’indicazione per includere altri oli ad alto contenuto di acido oleico nel 2018).

Ora un team di ricercatori dell’Università di Siviglia in Spagna suggerisce, in un articolo recentemente pubblicato sulla rivista Nutrients , che l’importanza dell’acido oleico viene ignorata e trascurata.  In una revisione della ricerca esistente, i ricercatori di Siviglia hanno trovato un forte sostegno al ruolo dell’acido oleico nella prevenzione delle malattie neurodegenerative e nella lotta contro l’infiammazione e il cancro, e anche per un effetto antiossidante che può aiutare a curare l’obesità. Poiché la maggior parte degli studi pubblicati sono condotti su animali, tuttavia, gli autori concludono l’articolo chiedendo ulteriori ricerche sugli effetti benefici dell’acido oleico sulla salute degli esseri umani.

Il contenuto di acido oleico è un importante fattore di distinzione tra gli oli di oliva e altri oli da cucina. Il contenuto di acido oleico negli oli d’oliva non dipende dalla sua qualità o grado, ed è per questo motivo che l’olio d’oliva come classe, sia esso extravergine, olio d’oliva normale o dal sapore leggero, può essere una scelta migliore per il tuo salute rispetto ad altri oli da cucina con un contenuto di acido oleico inferiore, anche prima di prendere in considerazione altre caratteristiche distintive come il contenuto di polifenoli, l’estrazione meccanica (in contrapposizione al solvente) e la sostenibilità.

Certo, l’olio extra vergine di oliva è il più salutare di tutti gli oli da cucina per una serie di motivi, tra cui l’alto contenuto di polifenoli, e la lavorazione minima di EVOO lo rende la scelta numero uno per i climatari. Ma se stai cercando un olio dal sapore sano ma dal sapore più neutro, l’olio d’oliva normale (e dal sapore leggero), con la sua estrazione senza solventi e un alto contenuto di acido oleico, è la strada da percorrere

Olivicoltura a parete con varietà italiane: esperienze quadriennali

Di Giuseppe Francesco Sportelli

olivicoltura a parete
Cornarella, una delle oltre 25 cultivar provate nei campi dimostrativi allestiti in Molise, Puglia e Abruzzo

Le prove sono state condotte in sette aziende olivicole comprese fra Molise, Puglia e Abruzzo, provando più di 25 cultivar. I risultati presentati in un convegno a Termoli (Cb)

Sulla base dei risultati di esperienze quadriennali condotte in sette aziende olivicole sul nostro territorio, fra Molise, Puglia e Abruzzo, possiamo affermare che ci sono alcune cultivar italiane con cui si può fare olivicoltura a parete. Se queste prime osservazioni saranno confermate, l’olivicoltura a parete con cultivar italiane potrà essere diffusa in aree collinari non irrigue e potrà svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo olivicolo, e quindi economico, di queste zone».

È quanto ha affermato Pasquale Ciuffreda, agronomo esperto di olivicoltura, in occasione del convegno “Olivicoltura a parete con cultivar italiane: risultati di esperienze pluriennali” organizzato dal Vivaio Verde Molise di Termoli (Cb) nella stessa città molisana, con la partecipazione di oltre 300 agricoltori e tecnici agricoli provenienti da numerose regioni dell’Italia centro-meridionale.

L’olivicoltura a parete

Ma che cosa è l’olivicoltura a parete? Ciuffreda ha spiegato che è un sistema colturale più flessibile rispetto al modello superintensivo (Super High Density, SHD) di origine spagnola.

«Il modello SHD in Spagna ha raggiunto 200.000 ha, pari al 10% della superficie olivicola, invece in Italia fino al 2019 copriva appena 4.500 ha, lo 0,5% della superficie olivicola nazionale! L’olivicoltura a parete è più adatta al territorio italiano proprio per i suoi caratteri di maggiore flessibilità:

  • sesti d’impianto più larghi (densità più basse);
  • parco varietale più ampio (allargato a più varietà italiane);
  • possibilità di conduzione dell’impianto in asciutta;
  • estensione nelle zone collinari più marginali;
  • sempre a raccolta in continuo;
  • sempre con bassi costi colturali rispetto all’olivicoltura tradizionale».

L’obiettivo della ricerca sperimentale

L’obiettivo della ricerca sperimentale promossa dal Vivaio Verde Molise è stato «capire se nel germoplasma olivicolo nazionale ci sono cultivar, popolazioni o biotipi censite e sconosciute che possano essere adattate al modello di olivicoltura a parete. Per perseguire questo obiettivo abbiamo realizzato nel 2018, in collaborazione con alcune aziende agricole, degli impianti dimostrativi con cultivar scelte in base a una valutazione preliminare dell’habitus vegetativo, che si avvicinasse il più possibile all’ideotipo spagnolo, per i seguenti criteri:

  1. radicabile da talea, infatti non esistono e/o è messa in discussione l’utilità di portainnesti nanizzanti;
  2. rapido accrescimento nella fase di allevamento;
  3. precocità di produzione: le piante devono iniziare a produrre dalla terza vegetazione;
  4. ridotto vigore vegetativo (internodo corto);
  5. minori diametri del tronco, delle branche e dei rami: se la pianta risparmia in strutture di sostegno, cioè produce meno legno, a parità di siti potenzialmente produttivi (nodi dei rami di un anno), avrà più riserve da spendere per la produzione;
  6. efficienza produttiva (kg/cm²), cioè rapporto tra la produzione per pianta (kg) e l’area della sezione del tronco (cm²);
  7. habitus semieretto e compatto, che agevola la raccolta con la scavallatrice;
  8. chioma densa (superficie fogliare/volume chioma) data dalla maggiore ramificazione: consente alla cultivar di infittire la vegetazione e ridurre lo sviluppo volumetrico della chioma a parità di rami prodotti;
  9. produzione sempre elevata e costante grazie ai seguenti fattori:
  • maggiore ramificazione, maggior numero di fiori;
  • capacità di fiorire su rami poco vigorosi;
  • infiorescenze con elevato numero di fiori (>25);
  • allegagione alta (4-5%);
  • autocompatibilità del polline;
  • bassa alternanza fisiologica;

10. poca suscettibilità alle principali malattie, che potrebbero debilitare la chioma (occhio di pavone, rogna, verticilliosi)».

Le cultivar provate in campo

Nell’ambito della ricerca, ha illustrato Ciuffreda, sono state scelte e provate più di 25 cultivar, allevate (con sesto di impianto di 4,0 x 1,5 m) in sette aziende diverse su superfici variabili da 0,5 a 1 ha.

«Le cultivar utilizzate sono state:

  • le standard spagnole, Arbequina e Arbosana,
  • le nazionali Leccio del Corno, Maurino, Diana, Itrana e Ascolana
  • e le locali Peranzana, Peranzana clone, Morosina, Olivastro di Montenero, Olivastro belvedere, Nociara, Piantone di Mogliano, Lorenzella, Rotondella, Nociara, Grognalegna, Oliva nera di Colletorto, Cornarella, Sperone di gallo, Olivastro di Morrone, selezione di Ordinaria di Vasto, Coroncina, Carboncella, Cerasuola di Palata, Calatina e altre ancora».

Tutti i risultati della ricerca sperimentale condotta in oliveti di Molise, Puglia e Abruzzo verranno presentati nel fascicolo n. 2/2024 della rivista “Olivo e Olio”.

Come contrastare l’impatto del clima sulla produzione olivicola

Le nuove sfide che incombono su una coltura e cultura millenaria

di MAURIZIO SERVILI
da GERGOFILI.INFO

Il cambiamento climatico pone sfide sempre più rilevanti ed in alcuni casi drammatiche al nostro sistema agroalimentare. Alcune filiere si stanno dimostrando particolarmente suscettibili e vulnerabili nei confronti delle mutate condizioni ambientali, tra queste va purtroppo inclusa la filiera olivicolo olearia.

Per inquadrare in modo corretto il problema va ricordato che, pur avendo visto, la coltivazione dell’olivo nell’ultimo trentennio, un’espansione in aree geografiche collocate al di fuori del bacino del Mediterraneo, ciò non di meno una gran parte della produzione olivicola mondiale si concentra ancora nell’ambito del suddetto areale. Va infatti ricordato che solo la Spagna produce da sola poco più del 40% della produzione mondiale e mettendo insieme i volumi di prodotto di altri Paesi mediterranei arriviamo a circa il 90% dell’olio di oliva ottenuto su scala mondiale.

Questo significa che gli eventi climatici atipici, connessi al cambiamento climatico, che possono compromettere la produzione degli oli di oliva all’interno dell’areale mediterraneo, comportano perdite di prodotto di entità tali da non potere essere, se non marginalmente, rimpiazzate da eventuali incrementi di produzione, che potrebbero verificarsi nei Paesi produttori esterni alla suddetta area.

Una prova eclatante di quanto affermato è da ricercare in quanto verificatesi lo scorso anno, quando la produzione Spagnola ha subìto, causa le alte e prolungate temperature estive, associate ad una perdurante siccità, una riduzione di quasi il 50% rispetto alle medie di produzione degli anni precedenti e, purtroppo, qualcosa di simile si preannuncia per l’ormai imminente nuova campagna olearia. Anche in questo caso la Spagna è il Paese più direttamente coinvolto a causa della scarsa allegazione dei frutti dovuta alla siccità ed alle elevate temperature registrate, in fase di fioritura ed allegazione, in Andalusia, la più importante area di produzione olivicola spagnola.

Questo significa che quando un paese come la Spagna che da solo produce intorno a 1,2-1,4 milioni di tonnellate di olio (circa il 40% dell’olio mondiale) va in sofferenza produttiva a poco possono servire, in termini di compensazione sui volumi mancanti, i potenziali incrementi di produzione di altri Paesi mediterranei, Italia in testa, che ormai si colloca stabile tra le 200.000 e 350.00 tonnellate annue di olio (tra 8% ed il 10% della produzione mondiale).

Quanto detto pone una problematica nuova sul mercato mondiale degli oli di oliva che è quella della forte variabilità dell’offerta, variabilità che si è tradotta quest’anno in variazioni al rialzo dei prezzi di vendita senza precedenti, elemento questo che, se prolungato nel tempo, non potrà che andare a discapito dei consumi. Intendiamoci la produzione olivicola mondiale ha mostrato oscillazioni anche negli anni precedenti ma va puntualizzato che, complice l’entrata in produzione nei vari Paesi di nuovi oliveti, il trend produttivo è sempre risultato in crescita, come del reso i consumi. Abbiamo impiegato più di trenta anni per passere da poco più dell’1,5% del consumo degli oli vegetali mondiale a quasi il 3%, ma al momento si profila il rischio concreto che la riduzione dei consumi sia molto più repentina della loro lenta crescita trentennale.

Cosa fare quindi? Non possiamo certo sperare che il clima ritorni lentamente o, tanto meno, rapidamente all’interno di quello che un tempo definivamo, non senza un tranquillizzante senso di protezione, il “clima mediterraneo”. Dobbiamo quindi, per quanto possibile, adattarci come del resto hanno sempre fatto i Sapiens almeno negli ultimi 30.000 anni di permanenza incontrastata su questo pianeta. Cosa significa adattarsi in questo caso? Sicuramente adottare scelte colturali in campo olivicolo che potrebbero, almeno in parte, mitigare il devastante impatto del cambiamento climatico sulle produzioni. Non abbiamo lo spazio per dilungarsi su questo punto, ma alcune provocazioni le vorrei lanciare. Il primo aspetto, che riguarda prioritariamente l’olivicoltura Italiana, è di rendere produttivi gli impianti esistenti in modo che la piattaforma olivicola nazionale, potenzialmente in grado di produrre più di 500.000 tonnellate di olio non si collochi stabilmente a metà di questo valore, problema questo dovuto, per buona parte dei casi, all’adozione di irrazionali o inesistenti pratiche agricole applicate in una sempre più rilevante parte degli oliveti appartenenti alla fascia appenninica del centro e nord Italia.

Criticità queste che, in associazione con la vetustà degli impianti e spesso degli operatori, sono alla base della bassa produttività e della forte alternanza produttiva della suddetta area olivicola nazionale. E’ opportuno sottolineare infatti che, se ai problemi dei cambiamenti climatici aggiungiamo quelli antropici la costanza di produzione nel settore olivicolo rappresenterà sempre più una chimera. Ammesso e non concesso che quindi si riesca in Italia ad invertire la tendenza all’abbandono unitamente all’applicazione di pratiche hobbistiche nei nostri oliveti tradizionali, nasce comunque il problema di come orientare i nuovi impianti. Per il futuro dovremmo riflettere attentamente sul modello produttivo da applicare alla nuova olivicoltura a partire dalla valorizzazione della biodiversità.

Esempi di quanto affermato possono essere la messa a dimora di cultivar meno sensibili agli stress termici o idrici in fase di fioritura ed allegagione o la combinazione, sullo stesso areale, di cultivar con peridi di fioritura e maturazione scalari, quindi più elastici ed in grado sfuggire ai picchi di calore osservati, per esempio, nelle ultime due annate in Spagna, che limitano l’allegagione dei frutti o la successiva maturazione degli stessi con evidenti cali produttivi di olive e di olio. L’ampliamento della piattaforma varietale nelle diverse aree geografiche potrebbe garantire quindi una maggiore costanza di produzione oltre che, in alcuni casi migliorare anche la qualità del prodotto.

Altro elemento chiave che vede protagonista la biodiversità in olivo è la scelta di cultivar e modelli produttivi che permettano di ridurre i consumi idrici, visto che la mancanza di acqua per l’irrigazione degli oliveti ed i periodi di siccità prolungate rappresenteranno, purtroppo una costante per le condizioni produttive del futuro prossimo. In questo conteso, ad esempio, nell’eterna diatriba, almeno in Italia, tra modello intensivo e super intensivo, abbiamo dati scientifici che ci permettano di capire come si comportano i due modelli in condizioni di bassa diponibilità idrica legata siccità e ridotte diponibilità idriche per l’irrigazione? Sarebbe importante saperlo, perché al momento, la water footprint è stata interpretata solo come consumo idrico per kilogrammo di olio prodotto, con rispetto al quale impianti che hanno, in condizioni agronomiche ottimali, una maggiore efficienza produttiva evidenziano valori di consumi idrici minori.

Ma la domanda è: quando la disponibilità di acqua per ettaro di oliveto, diventa fattore limitante, cosa accade ai due modelli produttivi? Sarebbe interessante conoscerlo visto che al momento, nei nuovi impianti il modello super intensivo va per la maggiore. È quindi forse giunto il momento di ripensare gli obiettivi produttivi dell’olivicoltura tradizionale e moderna alla luce di una visione di sostenibilità colturale e direi, culturale, che sia sempre più consapevole delle mutate condizioni climatiche ed ambientali nelle quali l’olivicoltura mediterranea e non solo si troverà ad operare.

Il miglior olio per friggere le patatine

Il miglior olio per friggere le patatine

Dall’uso dei grassi animali in epoca egizia fino agli oli vegetali durante l’Imparo romano. Sono passati secoli ma ancora è aperta la diatriba sul miglior olio per friggere. Ecco cosa dice la scienza

  


Secondo ricerche storiche l’origine della frittura è egizia. Nell’antico Egitto la pasta dei dolci veniva fritta nel grasso e nel lardo degli animali 2500 anni prima di Cristo.

La frittura divenne popolare, in tutti i sensi, nell’antica Roma. Qui il principale grasso usato per friggere era l’olio di oliva. La maggior parte della popolazione consumava il pasto del mezzogiorno e diversi spuntini per strada, acquistando dalle varie bancarelle o da locali semi aperti vicini alla strada. Questi negozi, le cauponae e le tabernae, vendevano diversi cibi fritti, quali frittate, frittelle, salsicciotti. Esistevano inoltre le vere e proprie botteghe di friggitori, citati anche dal poeta Marziale.

Il gastronomo ante litteram Apicio racconta di pietanze fritte nel miele cotto, oppure in una miscela di garum, olio e vino, o ancora garum, acqua e olio.

Dal Medioevo e fino ai giorni nostri in molte latitudini, il fritto è sinonimo di grassi animali: burro e strutto prima di tutti.

Queste diverse tradizioni storiche, nonché le diverse ricette per la frittura perfetta, hanno ingenerato spesso diatribe accese, che durano fino a noi.

Il miglior olio per friggere le patatine

La frittura profonda induce cambiamenti organolettici e fisico-chimici sia negli oli che nei prodotti fritti. L’uso eccessivo di oli di frittura genera prodotti di decomposizione con potenziali rischi per la salute umana. L’ottimizzazione delle condizioni di frittura e la selezione dei migliori oli di frittura sono necessarie per ottenere prodotti fritti migliori.

Uno studio arabo ha analizzato i cambiamenti fisico-chimici e il comportamento termico degli oli vegetali (oliva, colza, mais, girasole e soia) durante la frittura di patatine fritte e per determinare le condizioni ottimali necessarie per ottenere un prodotto fritto di migliore qualità.

Il comportamento termico, le caratteristiche organolettiche, le proprietà fisico-chimiche (indice di colore, viscosità, peso specifico, valore di perossido, acidi grassi liberi, composti polari totali) e le composizioni di acidi grassi degli oli sono stati analizzati durante il processo di frittura ogni 8 ore fino a 40 ore di riscaldamento.

Gli oli hanno mostrato qualità e stabilità termica diverse. Il tempo e la temperatura ottimali per la frittura erano 10 minuti e 180°C. Gli attributi sensoriali, le caratteristiche fisico-chimiche e la composizione in acidi grassi degli oli sono stati notevolmente influenzati dal riscaldamento.

L’olio di oliva è risultato il più stabile per la frittura. I composti polari totali del 27% (il punto di rifiuto per gli oli da frittura) sarebbero stati raggiunti riscaldando l’olio d’oliva a 180°C per 114 ore. I tempi corrispondenti erano di 45, 43, 30 e 26 ore per gli oli di colza, mais, girasole e soia, rispettivamente.

L’olio di oliva ha mostrato la maggiore stabilità e ha prodotto il miglior prodotto fritto, seguito dall’olio di canola. Il tempo di frittura aumenta con il riscaldamento prolungato e può essere utilizzato come un buon indicatore della qualità dell’olio e di quando dovrebbe essere scartato.

by Teatro Naturale

Estratto di olio d’oliva e di foglie


Un mix ipersalutistico l’estratto di olio d’oliva e di foglie

L’effetto sinergico ne aumenta le proprietà bioattive

Una ricerca dell’Università di Pisa, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nutrients, ha dimostrato che le foglie di olivo hanno proprietà nutraceutiche utili per la prevenzione di molte malattie croniche. «Le foglie dell’olivo sono ricche di polifenoli specifici come l’oleuropeina, dotati di importanti proprietà bioattive – ha sottolineato la professoressa Maria Digiacomo, del Dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa, coordinatrice della ricerca.

Digiacomo ha aggiunto che “il nostro studio ha dimostrato che, arricchendo estratti di olio extravergine di oliva con estratti di foglie di olivo, è possibile ottenere un estratto ricco di polifenoli bioattivi con interessanti proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Questo derivato potrebbe trovare applicazione in campo farmaceutico e cosmetico o come integratore alimentare”.

Dopo aver analizzato il contenuto di polifenoli è stato scelto un estratto di olio extravergine di oliva arricchito con estratto di foglie di olivo all’8%. “Le proprietà salutari dell’olio extravergine di oliva sono ben note e sono attribuite principalmente ai diversi polifenoli, come l’oleocantale e l’oleaceina“, ha evidenziato la ricercatrice, che ha precisato che combinando i polifenoli dell’olio extravergine di oliva con quelli della foglia di olivo, non si ha un semplice effetto additivo delle sue attività, ma un effetto sinergico che ne aumenta notevolmente le proprietà bioattive.

Secondo la ricercatrice, inoltre, questo nuovo approccio rappresenta una strategia per la successiva valorizzazione della foglia di olivo come sottoprodotto di grande valore nutraceutico, costituendo quindi una proficua alternativa alla sua eliminazione.

La Dieta Mediterranea

è stata classificata come la migliore dieta per il settimo anno consecutivo

Per il settimo anno consecutivo, la dieta mediterranea è stata nominata la migliore dieta in assoluto da US News & World Report . Ma i suoi riconoscimenti non si fermano qui. Questa dieta è anche in cima alle classifiche in molte altre categorie chiave, sottolineandone la versatilità e i benefici per la salute completi.

us news migliore dieta 2024 mediterranea

Un vincitore multicategoria

Il predominio della dieta mediterranea in più categorie evidenzia il suo ruolo non solo come dieta ma come scelta di vita completa. Che tu stia cercando di migliorare la salute del cuore, gestire il diabete o trovare un piano alimentare adatto alle famiglie, questa dieta offre un percorso comprovato, divertente e sostenibile per raggiungere vari obiettivi di salute. È un approccio olistico al mangiare e al vivere bene, motivo per cui US News l’ha nominata la migliore dieta per il 2024.

Salute delle ossa e delle articolazioni

L’enfasi della dieta mediterranea sugli alimenti ricchi di acidi grassi omega-3, calcio e vitamina D la rende ideale per la salute delle ossa e delle articolazioni. Pesce, verdure a foglia verde e noci, tutti gli alimenti base di questa dieta, sono fondamentali per mantenere la densità ossea e ridurre l’infiammazione, che è fondamentale per prevenire l’osteoporosi e l’artrite.

Adatto alle famiglie

Riconosciuta come la migliore dieta adatta alle famiglie, la dieta mediterranea è facilmente adattabile per adattarsi a tutte le età e gusti. La sua attenzione agli ingredienti semplici e freschi e alle ricette versatili lo rende un successo sia per i bambini che per gli adulti, promuovendo abitudini alimentari sane per tutta la famiglia.

Cuore sano

Essendo la migliore dieta salutare per il cuore, la dieta mediterranea è rinomata per i suoi benefici cardiovascolari. L’elevato apporto di grassi, fibre e antiossidanti salutari per il cuore aiuta a ridurre il colesterolo e la pressione sanguigna, riducendo il rischio di malattie cardiache.

Eccellente per la gestione del diabete

Classificata al primo posto tra le migliori diete per il diabete, questa dieta aiuta a controllare lo zucchero nel sangue e può prevenire o gestire il diabete . L’aggiunta di olio d’oliva al cibo può aiutare a ridurre il carico glicemico del cibo consumato e può aumentare la sensibilità all’insulina.

Ideale per un’alimentazione sana

In cima alla lista delle migliori diete per un’alimentazione sana, la dieta mediterranea eccelle in completezza e sicurezza nutrizionale. Enfatizza una varietà di alimenti ricchi di nutrienti e limita gli alimenti trasformati, in linea con le linee guida dietetiche globali.

Il più facile da seguire

La praticità e la bontà della dieta mediterranea le fanno guadagnare il primo posto nella classifica delle diete più facili da seguire. La mancanza di regole rigide e l’attenzione ai modelli dietetici generali rispetto ai singoli pasti lo rendono altamente sostenibile.

Efficace per la perdita di peso

#2 nelle migliori diete dimagranti, la dieta mediterranea è elogiata per la sua efficacia nella perdita di peso sana e sostenibile. Non si tratta di una dieta rapida, ma piuttosto di un cambiamento nello stile di vita che promuove una perdita di peso graduale e duratura.

L’irrancidimento dell’olio di oliva

Decadimento fisiologico e modificazione ossidativa

di Alessandro Vujovic

Da un punto di vista chimico l’irrancidimento di un grasso, sia esso solido che liquido, è una reazione spontanea che dipende dalle condizioni ambientali; consiste in un processo di ossidazione determinato dai “radicali liberi”, intendendo con questo termine atomi o molecole con elettroni spaiati nell’orbitale più esterno, in presenza di ossigeno dell’aria con le molecole energeticamente attivate.

Quindi le condizioni necessarie per l’irrancidimento sono:
1) la presenza di acidi grassi con “particolari” insaturazioni della molecola;

2)
 il contatto con l’ossigeno dell’aria oppure con quello dissolto nel liquido (nell’olio il contenuto medio dell’ossigeno è 2,2 mg/L con un range di 0,2-6,3 mg/L (1). Quasi tutte le apparecchiature impiegate nella lavorazione del frutto emulsionano l’ossigeno dell’aria con l’acqua di vegetazione, con la pasta d’oliva e con l’olio mosto (ad es. il frangitore, le pompe, la centrifuga verticale…). Il separatore centrifugo verticale, a causa dell’alta velocità richiesta per il suo funzionamento, addiziona e dissolve ossigeno all’olio portandolo quasi a saturazione (2). Ciò aumenta i processi ossidativi rilevabili analiticamente sia dal numero di perossidi che dall’assorbimento spettrofotometrico (K232). Infine il separatore verticale riduce lievemente il numero di fenoli contenuto negli oli, quelli a basso peso molecolare, quali idrossitirosolo e tirosolo (3) che sono protettivi nei confronti dell’ossidazione, fin quando non si ossidano a chinoni.
Una particolare caratteristica del problema è quella di cercare di separare, con un metodo fisico (stripping di azoto), l’ossigeno disciolto e presente negli oli appena prodotti. Questo al fine di diminuire la comparsa dei processi ossidativi che accelerano l’invecchiamento durante la shelf life come il gruppo di Piernicola Masella ha evidenziato in precedenti studi (4). Per il produttore di olio di oliva potrebbe essere una possibile soluzione tecnica, quella di procedere alla filtrazione dell’olio mosto, all’uscita dal decanter, senza il passaggio nel separatore verticale.

3) La presenza di un attivatore tale da creare un’eccitazione delle molecole di ossigeno (dallo stato stazionario di tripletto a due stati di eccitazione di singoletto), come la luce, anche a bassa intensità, in presenza della clorofilla oppure il contatto con microparticelle di metalli con la funzione di catalizzatori (ferro, rame, nickel).
Sotto l’esposizione alla luce, come il posizionamento delle bottiglie negli scaffali, l’effetto antiossidante dei composti fenolici è abbastanza limitato (5).

4) Anche le alte temperature, sia di lavorazione che di conservazione, sono un fattore pro-ossidante.
In pratica l’ossigeno dell’aria si fissa agli acidi grassi insaturi formando i perossidi (-O-O-) con una cascata di reazioni a catena, per di più irreversibili. In parole povere quando il meccanismo si è innestato prosegue da solo ed a nulla serve aggiungere, ad un olio con perossidi alti, un altro olio fresco, ricco di antiossidanti, perché questo supplemento non riesce ad interrompere la reazione già iniziata.
Quindi tutti gli oli di oliva – fisiologicamente – prima o poi diventeranno rancidi, anche se conservati nelle migliori condizioni ambientali (temperatura costante tra 12-15°C, assenza completa di luce, presenza di gas inerte, sullo spazio di testa del contenitore, come azoto o argon), chiaramente se non consumati prima. È consigliabile aggiungere una gocciolina di azoto liquido alla sommità della bottiglia, al momento dell’imbottigliamento, per sostituire l’aria con questo gas inerte.

Questo decadimento “fisiologico” dell’olio viene rallentato, sia dalle condizioni ottimali di conservazione ma, soprattutto, dalla qualità/quantità di molecole antiossidanti presenti, come i composti fenolici, i tocoferoli (vitamina E), i carotenoidi (provitamina A), le clorofille (solo al buio mentre, in presenza di luce, sono attivatrici dell’ossigeno), lo squalene, in pratica tutte molecole che riescono a “spegnere” (quenching) i radicali liberi.

Anche il contenuto di acido oleico, senza che esso sia un antiossidante, ha un ruolo importante, perché pur avendo un legame insaturo (monoinsaturo, MUFA), è difficilmente ossidabile, rispetto agli acidi grassi polinsaturi (linoleico e linolenico, PUFA). Ciò è dovuto, nella molecola dell’acido oleico, all’assenza del gruppo CIS-CIS-1,4 pentadiene (-CH=CH-CH2-CH=CH-) dove il gruppo metilico -CH2- è il punto critico di attacco dell’ossigeno in quanto richiede pochissima energia, solo 75-80 Kcal per mole per allontanare un atomo di idrogeno (reazione di ossidazione) (6).

Il parametro che esprime lo stato di ossidazione di un olio di oliva è il cosiddetto “numero di perossidi”, individuando con questo termine il grado di modificazione ossidativa di un olio, sinonimo di degradazione e di decadimento della qualità merceologica.
In base alla normativa vigente il numero dei perossidi viene espresso in milliequivalenti di ossigeno attivo per chilo di olio (mEq O2/kg) ed il limite è di 20,0 mEq O2/Kg, (sia per l’olio extravergine che per quello vergine) al di sopra del quale l’olio è classificato come lampante, mentre più basso è questo valore, più a lungo l’olio manterrà la sua durata nel tempo e risulterà maggiormente ritardata la possibilità di irrancidimento.

L’olio di oliva raffinato e l’olio di sansa raffinato hanno il limite a 5,0 mEq/Kg in quanto il riscaldamento degrada i perossidi e la deodorazione asporta le molecole derivate dalla loro decomposizione. L’olio di oliva, composto da “oli raffinati e oli di oliva vergini”, ha il limite di 15,0 mEq/Kg.

Quali sono le principali cause dell’aumento dei perossidi?
1) I perossidi aumentano per qualsiasi agente patogeno che possa danneggiare l’epicarpo dell’oliva facendo penetrare, per un tempo più o meno lungo, l’ossigeno nella polpa.
Nel caso della mosca dell’olivo (Bactrocera oleae), i perossidi sono correlati positivamente con il numero di fori di uscita delle larve, fori dove la concomitante presenza dell’ossigeno e quella degli enzimi ossidanti endogeni (lipossigenasi, perossidasi) dà inizio alla perossidazione lipidica. Oltre questi enzimi già contenuti nella polpa del frutto concorrono, a questo meccanismo degradativo, gli enzimi esogeni, relativi alla presenza di batteri e di funghi che hanno colonizzato la polpa marcia delle olive infestate.
Inoltre il danneggiamento biotico della polpa porta alla liberazione, tra i vari enzimi, anche la lipasi che idrolizza i trigliceridi aumentando gli acidi grassi liberi, tra questi i polinsaturi (PUFA) che saranno poi il substrato dell’ossidazione.
L’infestazione da mosca è rappresentata, a volte, in modo più evidente dal “numero dei perossidi” che “dall’acidità libera” per la penetrazione dell’ossigeno nei fori di uscita e il ruolo degli enzimi ossidativi rispetto alla lipolisi (lipasi) che scinde i trigliceridi in acidi grassi liberi e glicerolo. Quindi il processo di perossidazione lipidica è più deleterio per la qualità dell’olio rispetto all’idrolisi dei trigliceridi, perché una volta innescato si automantiene nel tempo portando all’irrancidimento del prodotto.
Ma è stato dimostrato anche che gli “acidi grassi liberi” provocano un’accelerazione della degradazione ossidativa a causa dell’azione dei gruppi carbossilici degli acidi (-COOH) sugli idroperossidi (-O-O-) degli acidi grassi, che vengono così decomposti con produzione di radicali.
L’acidità quindi rende più breve la conservazione dell’olio, per l’effetto idrolitico promotore dell’azione ossidante.
Per questo motivo è fondamentale separare quanto prima l’olio dalle acque di vegetazione, ma anche dai sedimenti, che contengono gli enzimi degradativi. Un valore del numero dei perossidi è buono se è al di sotto di 10-12; mentre se superiore evidenzia un processo di ossidazione primaria già avviato ed irreversibile.

2) Il tempo trascorso tra la raccolta e la frangitura soprattutto quando il frutto è stato danneggiato durante l’abbacchiatura (agevolatori che colpiscono violentemente il frutto, ammaccandolo, con inizio già da subito dei processi ossidativi)

3) Tra le cause anche il raggrinzimento del frutto, a seguito di una prolungata siccità, seguita dalla disponibilità di acqua: l’imbibizione e rigonfiamento del frutto potrebbe determinare microlacerazioni dell’epicarpo.

4) Un’abbondante piovosità causa una maggiore fragilità del tegumento esterno che con la raccolta potrebbe danneggiarsi; una concomitante temperatura elevata peggiora il rischio ossidativo.

5) Il numero dei perossidi aumenta con la sovramaturazione del frutto.

6) I perossidi possono subire un leggero incremento anche durante la fase di trasformazione, se si prolunga eccessivamente la gramolazione a temperature superiori ai 32° C, o per la presenza di metalli, anche se in tracce, oppure per contatto dell’olio con le morchie.

7)
 Il valore dei perossidi dipende anche dalle condizioni estrattive come ad es. è inversamente correlato alla velocità del cilindro rotante del decanter e direttamente correlato al contenuto di acqua immessa nella pasta di oliva. I livelli di acidità e di perossidi dell’olio di oliva sono inversamente proporzionali alla velocità del decanter e direttamente correlati alla temperatura di gramolazione e al contenuto di acqua (7).

8)
 Il deterioramento maggiore della qualità è stato osservato nei campioni conservati con un ampio volume dello spazio di testa. Di conseguenza anche le bottiglie, da utilizzare preferibilmente con i volumi più piccoli possibili, andrebbero chiuse tra un consumo e l’altro.
La conoscenza del numero di perossidi non è sufficiente a definire lo stato di ossidazione dell’olio EVO. Difatti, dopo una prima fase lenta di induzione dell’ossidazione lipidica, segue un aumento del processo in modo esponenziale (fase di propagazione), infine si conclude con una fase di terminazione dove i perossidi si decompongono. Al termine di queste tre fasi il “numero dei perossidi” subisce un decremento, in quanto queste molecole si decompongono per formare costituenti ossigenati a basso peso molecolare, tra l’altro volatili. Per tale motivo, l’evoluzione ossidativa dell’olio deve tenere conto anche di altri parametri di “qualità” come gli indici spettrofotometrici. Questi sono misure dell’assorbimento della luce ultravioletta da parte dell’olio espressi da coefficienti di estinzione K e delta K.
Quindi oltre i perossidi va determinato l’assorbimento spettrofotometrico alla lunghezza d’onda di 232 nanometri (K232), in riferimento all’ossidazione primaria, ed a 270 nanometri (K270), come valutazione dell’ossidazione secondaria legata alla formazione di aldeidi e chetoni volatili (difetto di rancido percepibile organoletticamente).

Poiché i perossidi di per sé non hanno né sapore né odore, nell’ossidazione primaria questi non sono percepibili sensorialmente come difetti mentre nell’ossidazione secondaria li avvertiamo perché si sviluppano molecole che ritroviamo nello spazio di testa. Anzi, poiché queste molecole, essendo volatili, fuoriescono dal liquido, potremmo percepire sensorialmente il difetto di rancido ed avere il K270 normale. Quindi l’esame sensoriale è più sensibile nel rilevare l’ossidazione secondaria rispetto alla primaria. L’esame chimico-spettrofotometrico è più sensibile nella fase primaria (induzione) quando ancora non si sono decomposti i perossidi e quindi non si sono liberate dal liquido le molecole caratteristiche del difetto.

L’attributo rancido è un difetto sensoriale ampiamente studiato dovuto alle molecole di eptano, E-2-eptenale, 2,4-eptadienale, 2-eptanolo, nonanale, 2,4-nonadienale e composti volatili decanali.
Dall’analisi chimica dei composti di degradazione possiamo risalire a quale acido grasso insaturo è stato ossidato ma addirittura in quale posizione della molecola si è introdotto il gruppo idroperossido.
È stato proposto, come sensore dell’ossidazione precoce nell’olio extra vergine, il livello dell’aldeide (E)-2-nonenale suggerendo anche che la sua misurazione potrebbe essere monitorata nel tempo, dai produttori, per seguire la degradazione dell’olio EVO (8).

(1) Masella P. et al. 2023. Postextraction monitoring of dissolved oxygen in virgin olive oil. Eur. J. Lipid Sci.Technol.;2300082.
(2) Parenti A. et al. 2012-14, Nuove tecnologie per la filtrazione di olio extra vergine di oliva. PromoFirenze Azienda Speciale della CCIAA di Firenze.
(3) Masella, P. 2009. Influence of Vertical Centrifugation on Extra Virgin Olive Oil Quality. J. Am. Oil Chem. Soc. 86(11), 1137–40
(4) Masella P. 2010. Nitrogen stripping to remove dissolved oxygen from extra virgin olive oil. Eur J Lipid Sci Technol. 112(12), 1389–92.
(5) Parenti A. et al. 2010. Stainless Steel Bottles for Extra Virgin Olive Oil Packaging: Effects on Shelf-Life, Packag. Technol. Sci.; 23: 383–91.
(6) Vujovic A. 2020. L’olio di oliva tra storia e scienza. pg 146-152. Tozzuolo Editore, Perugia.
(7) Akbarnia A. et al. 2019.Effect of temperature, water content and velocity on the quality of virgin olive oil extracted through three-phase centrifuge. Agriculture and Food, 4(1): 165–76.
(8) Caipo L. et al. 2021. Effect of Storage Conditions on the Quality of Arbequina Extra Virgin Olive Oil and the Impact on the Composition of Flavor-Related Compounds (Phenols and Volatiles). Foods, 10, (9);2161.

Condialimento di eccellenza

Olive caraffa


Secondo me esistono:
l’olio di Oliva quale alimento e…
l’olio di Oliva quale condimento.
è per questo che lo si definisce un “condialimento“.



* Nell’olio di Olivaalimento” il suo principale ed assoluto valore è la sua massa grassa, ricca di acido oleico, eccezionale per il nostro metabolismo e per la salute di cuore e del sistema circolatorio.


* Nell’olio di Olivacondimento” prevale la parte organolettica, i profumi, gli aromi, quindi le sostanze fenoliche, fantastico per insaporire i cibi ma anche per il semplice: pane e olio.

* L’uno però non esclude l’altro.

Punto di fumo dell’olio d’oliva

COTTURA CON OLIO D’OLIVAA FUOCO VIVO

    Molte persone credono che non dovresti cucinare con l’olio d’oliva a causa del suo “punto di fumo”. In effetti, il punto di fumo dell’olio d’oliva può arrivare fino a 470⁰ F.

    Cosa influenza il punto di fumo dell’olio d’oliva?

    I punti di fumo degli oli da cucina sono correlati all’acido grasso libero (FFA) dell’olio, con un’acidità inferiore che in genere si traduce in un punto di fumo più elevato.

    • L’FFA per l’olio extra vergine di oliva può variare da molto basso, circa lo 0,2%, fino al limite standard internazionale dello 0,8%. Pertanto, il punto di fumo degli oli extra vergini di oliva può essere piuttosto variabile. L’intervallo è in genere compreso tra 350⁰ e 410⁰ F.
    • Gli oli raffinati come l’olio d’oliva hanno un FFA molto basso e quindi punti di fumo più costantemente più alti. L’intervallo è compreso tra 390⁰ e 470⁰ F.

    La stabilità dell’olio da cucina è più importante del punto di fumo

    Nel decidere quale olio utilizzare per cucinare, la stabilità dell’olio è più importante del punto di fumo. Gli oli d’oliva sono ricchi di acido oleico e composti minori che li rendono molto stabili. Gli oli extra vergini di oliva contengono polifenoli e antiossidanti che combattono la degradazione dell’olio e la formazione di radicali liberi. Per questo motivo, l’olio extra vergine di oliva è risultato essere l’olio da cucina più stabile.

    Uno studio pubblicato su Food Chemistry ha confrontato la formazione di radicali liberi e l’ossidazione (irrancidimento) durante il riscaldamento dell’olio di arachidi e dell’olio extra vergine di oliva. Misurando l’ossidazione, i ricercatori hanno scoperto che era necessario più calore per avviare il processo di ossidazione nell’olio extra vergine di oliva rispetto all’olio di arachidi. Per quanto riguarda i radicali liberi, entrambi gli oli hanno creato circa la stessa quantità di radicali liberi all’incirca alla stessa velocità nel tempo (e l’olio extra vergine di oliva utilizzato è stato privato prima dei polifenoli).

    È ragionevole supporre che se l’olio extra vergine di oliva avesse polifenoli intatti quando si esaminano i radicali liberi, i polifenoli combatterebbero la formazione di radicali liberi e l’olio extra vergine di oliva probabilmente funzionerebbe anche meglio dell’olio di arachidi.

    Il riscaldamento di qualsiasi alimento influirà sul suo valore nutrizionale finale: più caldo e più a lungo il calore è acceso, più valore nutrizionale andrà perso. Questo concetto non è unico per l’uso dell’olio d’oliva, ma l’olio d’oliva può effettivamente reggere meglio!

    Qual è la definizione di “calore elevato”

    La temperatura media di cottura del piano cottura è di circa 350⁰ F, ben all’interno dell’intervallo del punto di fumo sia per l’olio extra vergine di oliva che per l’olio d’oliva

    • Intervallo del punto di fumo dell’olio extra vergine di oliva 350⁰ – 410⁰ F
    • Intervallo del punto di fumo dell’olio d’oliva e dell’olio d’oliva dal sapore leggero: 390⁰ – 470⁰ F

    In conclusione, il punto di fumo dell’olio d’oliva e dell’olio extra vergine di oliva è abbastanza alto per la cucina casalinga e i consumatori che sono preoccupati per un olio che si rompe sotto il calore dovrebbero concentrarsi sulla scelta di un olio da cucina stabile.

    L’acido oleico ..cos’è

    L’acido oleico o acido cis-9-ottadecenoico è un acido carbossilicomonoinsaturo a 18 atomi di carbonio della serie omega-9.

    È un solido che fonde a 16 °C.

    A temperatura ambiente si presenta come un liquido di aspetto variabile da incolore a giallastro e dall’odore caratteristico.

    Sotto forma di trigliceride è un componente importante dei grassi animali ed è il costituente più abbondante della maggioranza degli oli vegetali.

    L’acido oleico rappresenta il 75% circa degli acidi dell’olio di oliva.

    La percentuale di acido oleico libero presente nell’olio di oliva determina la sua acidità e conseguentemente la sua denominazione.

    Affinché l’olio di oliva si possa considerare extravergine, è consentita una percentuale di acido oleico libero non superiore a 0,8% del peso totale.

    L’acido oleico ed in particolare l’olio di oliva (per la sua ricchezza in tocoferoli e polifenoli) esercitano anche un effetto anti-ipertensivo ed antiossidante.

    Come componente di fosfolipidi è presente in importanti strutture biologiche, quali le membrane cellulari e lelipoproteine.

    OLIO DI OLIVA E ACIDO OLEICO

    Non sono solo i polifenoli:
    i benefici per la salute dell’olio d’oliva iniziano con l’acido oleico.

    Il brusio intorno alla ricerca Predimed e ad altri studi recenti riguarda il ruolo che i polifenoli dell’olivo svolgono nella promozione della salute e nella lotta contro le malattie croniche. Non è una novità; l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha approvato un’indicazione sulla salute per il contenuto di polifenoli già nel 2012 (regolamento (CE) n. 432/2012 della Commissione del 16 maggio 2012). Ma gli studi positivi e promettenti sui benefici di questi micronutrienti unici continuano ad arrivare. Di conseguenza, molte aziende si stanno affrettando a trovare modi creativi per superarsi a vicenda per quanto riguarda il contenuto di polifenoli (che ovviamente conferisce anche carattere e sfumature di gusto ai loro oli extra vergini di oliva).

    Le prime ricerche sui benefici per la salute dell’olio d’oliva e sul suo ruolo nella dieta mediterranea non si sono concentrate sui polifenoli, ma sull’alto contenuto di acido oleico.

    In effetti, è stato sulla base di questo che la FDA ha approvato l’indicazione sulla salute qualificata per gli oli d’oliva nella prevenzione e nel trattamento delle malattie cardiovascolari già nel 2004 (e successivamente ha ampliato l’affermazione per includere altri oli ad alto contenuto di acido oleico nel 2018).

    Ora un team di ricercatori dell’Università di Siviglia, in Spagna, sta suggerendo in un articolo recentemente pubblicato sulla rivista Nutrients che l’importanza dell’acido oleico viene ignorata e trascurata. In una revisione della ricerca esistente, i ricercatori di Siviglia hanno trovato un forte supporto per il ruolo dell’acido oleico nella prevenzione delle malattie neurodegenerative e nella lotta contro l’infiammazione e il cancro, e anche per un effetto antiossidante che può aiutare a trattare l’obesità. Poiché la maggior parte degli studi pubblicati sono a base animale, tuttavia, gli autori concludono il documento chiedendo ulteriori ricerche sugli impatti benefici dell’acido oleico sulla salute degli esseri umani.

    Il contenuto di acido oleico è un importante fattore di distinzione tra gli oli d’oliva e altri oli da cucina. Il contenuto di acido oleico negli oli d’oliva non dipende dalla sua qualità o grado, ed è per questo motivo che l’olio d’oliva come classe, che si tratti di olio extra vergine, olio d’oliva normale o dal sapore leggero, può essere una scelta migliore per la tua salute rispetto ad altri oli da cucina con un contenuto di acido oleico inferiore, anche prima di prendere in considerazione altre caratteristiche distintive come il contenuto di polifenoli, estrazione meccanica (in contrapposizione al solvente) e sostenibilità.

    Certo, l’olio extra vergine di oliva è il più salutare di tutti gli oli da cucina per una serie di motivi, tra cui l’alto contenuto di polifenoli, e la lavorazione minima dell’olio extravergine di oliva lo rende la scelta numero uno per i climatari. Ma se stai cercando un olio sano ma dal sapore più neutro, l’olio d’oliva Vergine (e dal sapore leggero), con la sua estrazione priva di solventi e l’alto contenuto di acido oleico, è la strada da percorrere.

    ULIVO COLTURA PERMANENTE

    L’olio d’oliva: una coltura permanente che fa bene a te e al nostro pianeta

    I consumatori fanno sempre più scelte nei loro acquisti alimentari e scelgono prodotti sostenibili, efficienti e sani. L’acquisto di olio d’oliva non fa bene solo alla salute delle persone, ma anche alla salute del pianeta.

    I benefici delle colture permanenti

    L’olio d’oliva ha sostanziali vantaggi in termini di sostenibilità rispetto agli oli da cucina più comunemente acquistati (soia, colza, mais, girasole e arachidi) perché altri questi oli sono prodotti da colture annuali, mentre le olive sono una coltura permanente di lunga durata.

    Coltivati in 66 paesi e nei cinque continenti, gli oli d’oliva costituiscono la più grande coltura permanente non tropicale del mondo. Le colture permanenti, che sono colture che non richiedono la semina ogni anno, fanno bene all’ambiente per diversi motivi:

    Gestione del suolo

    Il processo di dissodamento, semina e raccolta di piante annuali come la soia o il mais elimina i nutrienti dai terreni nel tempo ed è una causa dell’erosione dello strato superficiale del suolo. La terra regolarmente lavorata richiede più input, come fertilizzanti o energia. Al contrario, i ricercatori hanno scoperto che i campi perenni contengono naturalmente più sostanze nutritive nel suolo a causa della migliore diversità microbica del suolo. I microbi del suolo possono estrarre l’azoto dall’atmosfera “fissando” l’azoto e favorendo l’assorbimento dei nutrienti.

    Gestione delle acque

    Le colture permanenti gestiscono l’acqua meglio delle colture annuali. I ricercatori hanno osservato che le colture permanenti hanno radici che raggiungono più in profondità il terreno, il che consente alle colture di assorbire più acqua senza irrigazione. Inoltre, le colture permanenti aiutano gli agricoltori a evitare la compattazione del suolo e il deflusso superficiale dell’acqua. Gli ulivi sono resistenti alla siccità. Crescono meglio in climi con inverni miti ed estati lunghe e calde. Il settanta per cento degli oliveti del mondo sono alimentati dalla pioggia, senza acqua da irrigazione.

    Pozzo di carbonio/Bilanciamento

    Molte colture possono aiutare a catturare il carbonio dalla nostra atmosfera, ma le colture permanenti hanno il vantaggio di farlo tutto l’anno, a differenza delle colture arate, che catturano il carbonio solo fino al raccolto. Le colture perenni hanno 7 volte la massa radicale delle piante annuali, il che offre una maggiore opportunità di catturare il carbonio. Gli alberi sequestrano il carbonio nella nuova crescita ogni anno. Man mano che un albero cresce, immagazzina più carbonio trattenendolo nel tessuto accumulato. Un ettaro di ulivi annulla l’impronta di carbonio annuale di una persona. La produzione mondiale di olio d’oliva potrebbe assorbire le emissioni di CO2 di una città delle dimensioni di Hong Kong.

    Biodiversità

    Anche le colture tropicali, come la palma o la noce di cocco, sono colture permanenti, ma hanno effetti negativi significativi sulla biodiversità globale e colpiscono almeno 193 specie minacciate. Il motivo è che l’olio di palma e di cocco viene coltivato in aree tropicali con una ricca diversità e molte specie uniche. Al contrario, è stato scoperto che gli oliveti supportano la diversità e gli habitat per i nemici dei parassiti agricoli. A differenza delle colture annuali che tendono ad essere piantate in filari stretti, la coltivazione dell’olivo consente una maggiore copertura del terreno e/o consociazione. Ciò aumenta la diversità biologica dell’habitat naturale anche per gli animali e si traduce in una significativa riduzione o eliminazione della necessità di utilizzare erbicidi e insetticidi.

    Altre considerazioni sulla sostenibilità

    Inverdimento del deserto

    L’inverdimento del deserto è il concetto di bonifica delle terre desertiche per l’agricoltura. L’inverdimento del deserto sviluppa un’agricoltura sostenibile che aumenta le opportunità economiche per le comunità locali, i raccolti alimentari e la sicurezza alimentare. Quando 10 anni fa l’Università Ben Gurion in Israele ha avviato il suo progetto di ricerca sull’inverdimento del deserto nel deserto del Negev, il direttore dell’Istituto BGU Jacob Blaustein per la ricerca sul deserto ha scelto l’olivo come coltura principale ideale per il progetto di rinverdimento del deserto. Oggi, le olive vengono coltivate nelle regioni desertiche di tutto il mondo.

    Metodi di produzione “puliti”

    La maggior parte degli oli vegetali e di semi viene estratta con esano, che è prodotto da combustibili fossili e richiede un calore elevato, che è ad alta intensità energetica. Tutto l’olio d’oliva, al contrario, viene estratto meccanicamente senza l’uso di solventi e l’olio extra vergine di oliva viene prodotto a bassa temperatura (massimo 80.6 F).

    Colture geneticamente modificate

    Gli oli di colza, soia e mais sono quasi sempre prodotti da colture geneticamente modificate. L’olio d’oliva, al contrario, è sempre non OGM.

    Fonti:

    Perennial Policy Brief, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) 

    La lavorazione frequente del terreno e il suo impatto sulla qualità del suolo 

    Agricoltura sostenibile: le piante perenni producono di più; La diversità del paesaggio crea l’habitat per i nemici dei parassiti 

    La produzione mondiale di olio d’oliva potrebbe assorbire le emissioni di CO2 di una città delle dimensioni di Hong Kong – Consiglio oleicolo internazionale 

    Il futuro dell’agricoltura è perenne? Imperativi e opportunità per reinventare l’agricoltura passando dalle monocolture annuali alle policolture perenni 

    Olio di palma e biodiversità 

    L’affermazione che l’olio di cocco è peggiore per la biodiversità dell’olio di palma scatena un furioso dibattito 

    OLIO D’OLIVA PER LA TUA SALUTE.

    OLIO D’OLIVA PER LA SALUTEA PROPOSITO DI OLIO D’OLIVA

    Nutrizione dell’olio d’oliva: qual è la differenza tra antiossidanti e polifenoli?

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    polifenoli e antiossidantiGli esperti di olio d’oliva parlano spesso di polifenoli e antiossidanti in relazione ai potenziali benefici per la salute dell’olio extra vergine di oliva. È importante quindi capire la differenza tra un polifenolo e un antiossidante, e quale ruolo svolgono nella nostra salute.

    Sommario

    Gli antiossidanti sono molecole che proteggono il nostro corpo dai danni causati dai radicali liberi. I polifenoli sono un tipo di antiossidante che si trova in abbondanza nell’olio extravergine di oliva.

    L’ossidazione e l’importanza degli antiossidanti

    Molti dei frutti e delle verdure che consumiamo contengono un gran numero di composti fondamentali per la vita. Uno di questi tipi di composti è noto come antiossidanti. Perché gli antiossidanti sono così importanti per la nostra salute? Per capirlo meglio, devi prima capire e apprezzare come il nostro corpo produce energia dal processo di ossidazione.

    L’ossidazione è un processo naturale che le nostre cellule utilizzano per creare energia dall’ossigeno che inaliamo. Poiché l’energia viene prodotta nelle nostre cellule, alcune molecole di ossigeno (note come radicali liberi dell’ossigeno o specie reattive dell’ossigeno) vengono prodotte come sottoprodotto di questi processi. Questi radicali liberi dell’ossigeno possono danneggiare le cellule e il DNA quando sono in alta concentrazione. Il danno continuo causato dai radicali liberi dell’ossigeno, il più delle volte definito stress ossidativo, può portare a varie condizioni, tra cui:

    • Varie forme di cancro
    • Malattia cardiovascolare
    • Diabete
    • Osteoporosi
    • Morbo di Alzheimer
    • Demenza
    • Rughe associate all’età

    Purtroppo, la produzione di queste sostanze chimiche nocive è talvolta favorita dall’ambiente in cui viviamo. Diversi fattori legati allo stile di vita, allo stress e all’ambiente che hanno dimostrato di aumentare la produzione di radicali liberi dell’ossigeno includono (ma non sono limitati a):

    • Fumo di sigaretta
    • Consumo di alcol
    • Alti livelli di zucchero nel sangue
    • Inquinamento atmosferico
    • Elevato apporto di grassi polinsaturi
    • Eccessiva esposizione alle radiazioni ultraviolette
    • Varie infezioni batteriche o virali
    • Carenza di antiossidanti

    Quindi, come si inseriscono gli antiossidanti nel grande schema del nostro corpo e della nostra salute? Gli antiossidanti sono sostanze chimiche note per essere “spazzini molecolari” che aiutano a neutralizzare i radicali liberi dell’ossigeno, prevenendo così il verificarsi dello stress ossidativo. Ci sono centinaia di antiossidanti conosciuti, alcuni dei quali consumiamo nella nostra dieta quotidiana:

    • Retinolo
    • Vitamina C
    • Vitamina E
    • Selenio
    • Manganese
    • Carotenoidi
    • E….POLIFENOLI!

    Che cos’è un polifenolo e in che modo è correlato agli antiossidanti?

    I polifenoli sono un tipo di antiossidante prodotto dalle piante, in genere in difesa delle radiazioni ultraviolette o di agenti patogeni estranei che possono minacciare la salute generale della pianta. I polifenoli forniscono anche ai nostri sensi l’amarezza, l’odore, il colore e il sapore che percepiamo quando consumiamo specifici tipi di alimenti, in particolare frutta e verdura. (2)

    I polifenoli sono di grande interesse per scienziati e nutrizionisti per le loro funzioni antiossidanti e nella prevenzione di varie malattie. Il campo della ricerca sui polifenoli, e in particolare il meccanismo delle loro funzioni antiossidanti, rimane un’area molto fertile di ricerca scientifica. Un tipo di polifenolo di interesse per questa particolare discussione sono i polifenoli dell’oliva.

    Polifenoli negli oli d’oliva

    L’olio d’oliva, un olio noto per essere ricco di grassi monoinsaturi e polifenoli, è un componente chiave di molte diete (inclusa la dieta mediterranea). Gli oli extra vergini di oliva hanno la maggior parte degli antiossidanti e dei polifenoli presenti e, a seconda della quantità di polifenoli, possono influenzare il sapore dell’olio d’oliva. A causa della sua maggiore concentrazione di polifenoli, l’olio extra vergine di oliva è più saporito del normale olio d’oliva. (3) Il contenuto di polifenoli nelle olive può essere influenzato da una serie di fattori che includono:

    • Clima in cui viene coltivato (in relazione all’altitudine, alla quantità di precipitazioni e alla quantità di irrigazione)
    • Fase di maturazione del frutto
    • Resa in frutti per albero
    • Condizioni di estrazione dei polifenoli
    • Tempo trascorso in giacenza e condizioni di conservazione

    Sebbene esistano molti tipi di polifenoli dell’olivo, gran parte della ricerca fino a questo punto si è concentrata su tre:

    • L’idrossitirosolo, un composto fenolico presente nell’olio d’oliva, è stato identificato come uno dei più forti antiossidanti presenti nell’olio d’oliva e può aiutare a ridurre il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2. (1)
    • L’oleuropeina, un altro polifenolo antiossidante presente nell’olio d’oliva, ha anche dimostrato di essere abbastanza efficace nell’eliminazione di vari batteri e virus che infettano l’uomo. (1)
    • Si suggerisce che l’oleocantale abbia effetti antinfiammatori e antiossidanti simili alle azioni dell’ibuprofene e, pertanto, può aiutare a ridurre la gravità di diverse malattie infiammatorie croniche. (4)

    Studi precedenti hanno anche dimostrato che questi polifenoli degli oli di oliva vergini (e non dell’olio di girasole) proteggono dalla malattia coronarica prevenendo l’ossidazione della molecola che trasporta il colesterolo nota come lipoproteina a bassa densità. (5)

    Cosa succede ai polifenoli quando cuciniamo

    Quando si cucina con l’olio extra vergine di oliva, diversi metodi culinari possono diminuire la quantità di polifenoli nelle verdure (tra cui patate, melanzane, pomodori e zucca). La maggior parte di questa perdita è dovuta più alla temperatura di cottura dell’olio extra vergine di oliva piuttosto che al tempo trascorso a cucinare. (6) Fortunatamente, non tutti i polifenoli e le loro funzioni antiossidanti vengono persi. Gli studi hanno dimostrato che questi polifenoli migrano tipicamente dall’olio d’oliva alle verdure cotte in modo efficiente; Si consiglia di aggiungere l’olio d’oliva a tutte le verdure come parte della preparazione dei pasti per acquisire una dieta ricca di polifenoli. (8) È anche importante notare che mentre alcuni credono erroneamente che non dovresti cucinare con l’olio extra vergine di oliva, è stato dimostrato che è uno degli oli da cucina più stabili. (7)

    Conclusione

    I benefici del consumo di polifenoli vegetali naturali sono noti da tempo. La ricerca suggerisce che questi polifenoli possono ridurre la morbilità e rallentare la progressione di diversi tipi di cancro, malattie neurodegenerative e malattie cardiovascolari. L’oleuropeinal’idrossitirosolo e altri composti polifenolici sono abbondanti nell’olio d’oliva. E mentre alcuni polifenoli dell’oliva possono essere persi in cottura, non tutti lo sono… E ciò che rimane è il 100% in più rispetto a quello che troverai in altri oli da cucina. Pertanto, un aumento del consumo di olio d’oliva e di altri prodotti vegetali che contengono un’abbondanza di polifenoli sembra una scelta saggia per coloro che cercano di migliorare la propria salute generale.

    Referenze

    1. Gorzynik-Debicka, M. et. al.., Potenziali benefici per la salute dell’olio d’oliva e dei polifenoli vegetali. Giornale internazionale di scienze molecolari. 19; (547), 2018.
    2. Pandey, KB e Rizvi, SI Polifenoli vegetali come antiossidanti dietetici nella salute e nelle malattie umane. Medicina ossidativa e longevità cellulare. 2; (5), 2009.
    3. Rigacci, S. e Stefani, M. Proprietà nutraceutiche dei polifenoli dell’olio d’oliva. Un itinerario dalle cellule coltivate attraverso i modelli animali fino all’uomo. Giornale internazionale di scienze molecolari. 17; (6), 2016. Questo perché l’olio d’oliva normale è una miscela di olio d’oliva raffinato e olio d’oliva vergine. Mentre gli oli d’oliva vergini sono ricchi di polifenoli e antiossidanti, l’olio d’oliva raffinato non lo è. Il contenuto di polifenoli dell’olio d’oliva normale deriva interamente dall’olio d’oliva vergine presente nel prodotto.
    4. Parkinson, L. e Keast, R. Oleocantale, un fenolico derivato dall’olio d’oliva vergine: una revisione degli effetti benefici sulla malattia infiammatoria. Giornale internazionale di scienze molecolari. 15; (7), 2014.
    5. Aguilera, CM, et al., L’olio di girasole non protegge dall’ossidazione delle LDL come fa l’olio d’oliva vergine nei pazienti con malattia vascolare periferica. Nutrizione clinica. 23; (4), 2004.
    6. Lozano-Castellón, J. et. al., Soffritto domestico con olio EVOO: cambiamento del profilo fenolico. Antiossidanti. 9; (1), 2020.
    7. Guillaume, D. e Ravetti, L. Valutazione dei cambiamenti chimici e fisici in diversi oli commerciali durante il riscaldamento. Acta Scientific Salute Nutrizionale. 2; (6), 2018.
    8. Ramirez-Anaya, J.P., et. al., Cambiamenti nelle proprietà antiossidanti dell’olio extra vergine di oliva dopo la cottura di verdure tipiche mediterranee. Antiossidanti. 8, (8). 2019.

    Informazioni sull’autore

    Il Dr. Ryan Wynne è professore di Biologia presso il St. Thomas Aquinas College. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Biochimica presso la Lehigh University e si è formato come ricercatore post-dottorato presso l’Università di Rochester. Il Dr. Wynne ha oltre 15 anni di esperienza nella ricerca nel campo della biologia. Ha pubblicato ricerche su Nature Protocols, Journal of Neurochemistry, Journal of Neurobiology, Glia, and Ethology, Ecology & Evolution.

    OLIO D’OLIVA PER LA SALUTE, PERDITA DI PESO

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    olio d'oliva di cavolo riccio (grande)

    La dieta Sirtfood è l’ultima tendenza dietetica a cui è stato attribuito il merito di snellire il fisico di celebrità come Adele. Che cos’è un Sirtfood e che ruolo ha l’olio d’oliva nella dieta Sirtfood?

    I “sirtfood” sono alimenti che attivano le sirtuine[1], geni che ci mantengono giovani e snelli istruendo il corpo a riparare e ringiovanire le nostre cellule. L’olio extra vergine di oliva è stato identificato come uno dei migliori alimenti a causa di due polifenoli antiossidanti presenti in abbondanza nell’olio EVOO: oleuropeina e idrossitirosolo.

    I benefici per la salute dell’oleuropeina e dell’idrossitirosolo sono stati studiati per decenni e la ricerca ha dimostrato che possono aiutare a proteggere dalle malattie cardiache e dal cancro[2]. Secondo i promotori della dieta Sirtfood, l’olio extravergine di oliva può stimolare le sirtuine a bruciare i grassi e aumentare la massa muscolare.

    Secondo i nutrizionisti Aidan Goggins e Glen Matten, che hanno creato la dieta, altri alimenti principali di Sirt includono rucola, grano saraceno, capperi, sedano, peperoncini, cacao, caffè, aglio, tè verde, cavolo, datteri Medjool, prezzemolo, indivia rossa, cipolla rossa, vino rosso, soia, fragole, curcuma e noci. Se sei interessato a sperimentare la dieta Sirtfood, incorpora questi alimenti nella tua dieta con olio extra vergine di oliva. Goggins e Matten raccomandano anche 30 minuti di attività moderata, 5 volte a settimana.

    La dieta è stata criticata , ma tutti possono trarre beneficio dal consumo di più alimenti ricchi di antiossidanti e polifenoli (alias superalimenti) come l’olio extra vergine di oliva. Tutti gli alimenti identificati nella dieta Sirtfood hanno dimostrato benefici per la salute in ricerche precedenti perché riducono l’infiammazione.

    Se stai cercando di perdere peso e godere dei benefici del consumo di cibi che attiveranno le sirtuine, qualunque sia il percorso che scegli, assicurati che l’olio extra vergine di oliva svolga un ruolo nel tuo piano di perdita di peso.

    Consumo Mondiale grassi vegetali



    Avere la possibilità di usare nel mondo dell’ottimo Olio da spremitura di Olive è un grandissimo privilegio ed una fortuna per la nostra salute.

    Fatto 100 il consumo di grassi vegetali a livello mondiale,
    il consumo di Olio da Olive è solo
    l’1,53% …una inezia.

    Oli di Palma, Soja e Colza insieme coprono il 78,65% del consumo mondiale.

    Possiamo fare tutto il baccano che vogliamo
    ma la situazione reale è questa.


    Poi ci sono, oltre a questi, anche i grassi di origine animale che non sono pochi e molto consolidati nelle varie culture gastronomiche.
    I francesi ad esempio prediligono per i loro cibi salati e dolci il Burro.

    Dobbiamo prendere coscienza anche di una ulteriore realtà, se anche si volesse produrre Olio da Olive per tutto il mondo, la superficie terrestre necessaria per piantumare Ulivi non è sufficiente.

    Acidi grassi composizione
    (sotto forma di esteri della glicerina), nelle cere, negli oli essenziali ecc. Il gruppo degli acidi grassi comprende composti saturi, di formula generale CnH2n+1COOH, a catena normale o ramificata (l’acido palmitico è il più abbondante, mentre lo stearico è il più diffuso) e anche acidi non saturi.

    La potatura dell’olivo colpito dal gelo: metodi di recupero

    Le manifestazioni più frequenti di danno da gelo – Una prima manifestazione di danno da gelo è la necrosi dei tessuti del picciolo che provoca la caduta parziale o totale delle foglie dall’albero. Si manifesta a temperature di -6, -7°C. Quando i danni sono maggiori e colpiscono i rami, le foglie rimangono sull’albero anche se completamente ammarronate, in quanto la pianta non ha il tempo per promuovere il loro distacco.

    rami di 1 o 2 anni possono subire la fessurazione della corteccia in tutto il suo spessore o limitatamente alla porzione esterna. Il danno è dovuto in particolare al rapido passaggio da basse temperature notturne a quelle miti del mattino, oppure alla formazione di ghiaccio conseguente all’assorbimento di acqua da parte di foglie e rametti rimasti a lungo a contatto con pioggia, neve o nebbia. Tali alterazioni causano una rapida disidratazione dei tessuti e quindi la morte dei rami o delle branche interessate.

    L’ammarronamento della corteccia a placche estese su superfici più o meno ampie capita in rami con cambio e vasi legnosi fortemente danneggiati, in cui manca il rifornimento di acqua e di sostanze nutritive, per cui gradatamente deperiscono fino alla completa devitalizzazione.

    Vicino alle zone necrotizzate e secondo linee longitudinali possono rimanere vitali zone di corteccia e di cambio che danno origine a corde che permettono di alimentare le zone distali delle branche, tuttavia tali zone di vegetazione non possono essere ritenute valide per assicurare una solida base produttiva. Sempre per l’alternarsi di basse e medie temperature si determina una diversa espansione dei tessuti; cioè i tessuti esterni del tronco e delle branche in presenza di basse temperature aumentano di volume. Quando le porzioni periferiche si riscaldano, queste riducono la dilatazione e causano una differente tensione fra gli strati della corteccia, determinando lo scorrimento di questa sul legno in corrispondenza di uno strato di cellule particolarmente ricche di acqua o aventi capacità di una rapida imbibizione idrica. Tale azione si esercita in tutti gli olivi e in presenza di corteccia poco elastica si hanno profonde lesioni verticali, che si evidenziano su alcune cultivar sensibili, su piante adulte con corteccia rigida e su tronchi lesionati da precedenti gelate o con ferite non ancora cicatrizzate. Nelle piante giovani e nelle cultivar con corteccia più elastica tali alterazioni non si manifestano.

    Il danno ai vasi legnosi e al cambio è uno dei più diffusi. Consiste nella necrotizzazione e nella devitalizzazione delle ultime cerchie legnose che vengono letteralmente disgregate. In questa azione gran parte delle cellule del cambio viene danneggiata. A seconda dell’entità del danno tale cerchia necrosata può essere continua, oppure limitata a settori, infatti spesso rimangono intatti alcuni raggi xilematici che si collegano attraverso il cambio a quelli corticali; tali elementi sono l’origine di nuovi tessuti che da questo momento cominciano a sviluppare per ristabilire una connessione tra corteccia e legno vitale. Contemporaneamente nella corteccia si differenziano gruppi di cellule o una catena di nuovi elementi di natura suberosa per isolare la porzione deteriorata e per salvaguardare le zone rimaste ancora vive. La ripresa può interessare un solo settore, in questo caso la parte rimanente si deteriora a cominciare dalla corteccia che imbrunisce, anche il legno sottostante muore ed è invaso facilmente dai funghi responsabili della carie.

    Pertanto tutti i rami e le branche che non hanno fessure possono, entro un certo limite, superare le ferite e ripristinare l’attività della pianta. Se la corteccia ha subito in più punti una serie di lacerazioni e necrotizzazioni dei tessuti viene a mancare ogni azione di recupero ed essa assume una colorazione bruno-rossastra fino alla completa necrotizzazione con la conseguente morte del ramo o della branca a cui appartiene.

    Metodi di recupero – La defogliazione incide sulla formazione e sullo sviluppo delle gemme a fiore; se si mantiene entro il 20-25% può determinare effetti appena percettibili, a percentuali superiori riduce la fioritura fino ad annullarla.

    1) Le piante che hanno avuto solo una leggera defogliazione debbono ricevere un trattamento normale, eliminando in primo luogo i rami danneggiati dal freddo, quindi la potatura dovrà essere eseguita in modo da conferire alla chioma una giusta fi ttezza e prima che la pianta cominci il germogliamento, per evitare un’inutile dispersione delle sostanze di riserva.

    2) Quando invece la defogliazione è intorno all’80-90% e le branche ed i rami sono in gran parte validi, si approfitterà per una potatura di riforma togliendo subito le branche soprannumerarie, orientandosi verso una struttura che preveda una buona illuminazione della chioma e faciliti le operazioni colturali, compresa la raccolta meccanica Nel complesso la potatura risulterà energica.

    3) Quando la defogliazione è del 70-80% con rami meno danneggiati concentrati sulle cime delle branche, questi debbono essere energicamente diradati, i rami e le branche con corteccia fessurata vengono eliminati. La chioma potrà riformarsi in modo equilibrato.

    4) Quando i rami di 1 anno e le branche di 2 anni hanno la corteccia con spaccature diffuse e profonde, essi sono destinati a seccarsi rapidamente. La ricostituzione dovrà essere fatta sulle branche principali. In questo caso saranno scelte quelle che per conformazione e numero sono più rispondenti, abbassando la cima per permettere un più uniforme rivestimento di vegetazione lungo tutto l’asse. Se l’intervento viene eseguito verso fi ne aprile, l’inizio di sviluppo delle gemme avventizie potrà confermare la validità delle branche su cui la ricostituzione viene effettuata.

    5) Se la defogliazione è completa e la corteccia delle branche principali e del tronco è rimasta integra, ma in qualche zona di depressione si è distaccata dal legno, (rilevabile dal suono di vuoto che si ha battendo la branca), anche se è ipotizzabile la ricostituzione sulle branche principali è bene attendere l’inizio della vegetazione per verificare quali organi sono rimasti pienamente vitali. Solo allora è conveniente eseguire la potatura di ristrutturazione, cercando di tagliare non sulle zone terminali che hanno manifestato di rivegetare, ma più in basso, per non lasciare zone parzialmente necrosate. L’operazione dovrà essere eseguita in maggio.

    6) Quando vi sono spaccature sulle branche principali e sui tronchi, la parte epigea è compromessa e si può prendere immediatamente una decisione, cioè il taglio al ciocco oppure la estirpazione. Per le piante comunque danneggiate ai diversi livelli, qualora la forma adottata non si sia mostrata rispondente, è opportuno procedere alla riforma della pianta. Una di queste riguarda la sostituzione del monocono con la forma a vaso. La stroncatura dell’asse principale a m 1,30-1,40 è l’operazione di partenza, da esso verranno scelti i 3-4 succhioni meglio disposti per la formazione delle branche principali. Per il taglio al ciocco occorre scalzare la ceppaia e poi tagliarla un decimetro circa sotto il livello del terreno, per asportare le zone devitalizzate e per promuovere lo sviluppo dei polloni dagli ovuli più bassi e più esterni della ceppaia. A completamento della operazione è necessario eliminare qualsiasi altra porzione cariata della ceppaia.

    dal Web

    La Potatura

    autore Marco Marini

    Potare significa modificare in modo artificiale la forma di un albero in modo che possa crescere meglio possibile. Se non si sa cosa si sta facendo è meglio non intervenire. La potatura è una pratica che deve sempre essere considerata nell’ambito di una gestione complessiva della pianta. La potatura è l’insieme delle pratiche agronomiche aventi lo scopo di:

    • regolare, mediante opportuni tagli dei rami, il modo di vegetare, di fiorire, e di fruttificare delle piante
    • ricercare l’equilibrio della pianta generalmente evitando l’alternanza che è una tendenza che alcune piante hanno per aumentare la probabilità di riprodursi
    • allungare lo stadio produttivo delle piante
    • favorire uno sviluppo più uniforme e razionale
    • garantire una produzione più costante e qualitativamente migliore
    • permettere una più economica e razionale esecuzione delle lavorazioni

    Analisi:

    • tipologia di pianta (sempre verde, innestata, apparato radicale, portamento)
    • tipologia di suolo
    • latitudine
    • clima
    • esposizione alla luce
    • esposizione al vento
    • stato di salute della piantaEquilibrio della pianta
      • fruttificazione
      • accrescimenti dei rami esterni (idealmente circa 40 cm)
        • non i succhioni
        • non i dorsali
        • non le punte
      • la vigoria di una pianta si valuta dalla lunghezza e sezione dei rami di un anno
    • storia pregressa della pianta
    • tipo di impianto

    diradamento chioma per equilibrarla

    Assecondare il naturale ed equilibrato sviluppo della pianta

    • ricercare l’equilibrio tra:
      • gemme a fiore e gemme a legno
        • troppi frutti diminuiscono la differenziazione delle gemme a fiore dell’anno successivo perchè i semi producono un ormone che favorisce l’alternanza nelle specie suscettibili
          • olivo, pesco, susino, ciliegio andrebbero tagliate molte gemme a fiore
          • melo e pero vanno lasciate una uguale proporzione di gemme a fiore e a legno
          • in alcuni casi si può ricercare l’alternanza potando energicamente un anno solo metà frutteto e l’anno successivo l’altra metà
        • necessità di vegetazione e riproduzione poichè poca o troppo chioma producono frutti piccoli e di bassa qualità
      • apparato radicale e chioma
    • eguale dimensione dei fruttila ricerca della luce da parte dei rami perchè i rametti senza luce si defogliano, non si differenziano le gemme, non fanno fiori oppure i fiori non allegano
      • il sottomisura sfrutta la pianta
      • diradare altrimenti il picciolo corto provoca la caduta anticipata del frutto
    • non alterare troppo lo scheletro della pianta con potature troppo energiche
    • prevenire l’invecchiamento con potutature mirate e leggere

    impalcatura olivo a vaso policonico

    Potatura di allevamento

    • creare l’impalcatura a vaso policonicomantenimento della forma ogni anno con potature invernali ed estive, bisogna stare attenti a non potare drasticamente, al limite ogni tanto si fa un taglio di ritorno
      • le branche nei primi 3 anni vanno messe a 45 gradi per favorire un equilibrata illuminazione
      • ha l’incoveniente che nell’olivo stimola una grande produzione di polloni centrali a causa del comportamente di base cespuglioso dell’olivo.
    • maggiore è la vigoria di una pianta e meno bisogna potare altrimenti l’anno successivo si genera molta più vegetazione rispetto ai frutti
    • Vanno lasciati più centri produttivi nelle piante vigorose e meno centri produttivi nelle piante meno vigorose
    • i tagli di ritorno vanno fatti sulle branche acrotone (cioè verticali) in corrispondenza di qualche brindillo debole e possibilmente orizzontale in modo che non cresca più verso l’alto

    Tipi di potatura

    • di allevamento o formazione, adegua la forma fino alla fruttificazione
    • di produzione, regola la produzione
    • ringiovanimento, rallenta l’invecchiamento eliminando le parti malate e secche
    • riforma, cambia la forma di allevamento (sconsigliata)
    • trapianto, asporta le radici malate nel trapianto
    • risanamento, limitare la secchezza della pianta
    • secca o invernale, tra febbraio e marzo
    • verde o estiva, a fine primavera inizio estate (pesco e vite)

    Potatura secca

    Nella potatura, che andrà eseguita durante il riposo vegetativo (potatura secca) fino all’inizio del germoglio, i rami dovranno essere sempre spuntati tenendo conto che nelle ultime gemme a legno sorgeranno nuovi rami.

    • asportazione dei rami secchi, in ombra o sottili già abbandonati dalla pianta
    • attenzione a non asportare le punte dei coni
    • diradare pochissimo in alto, di più in basso
    • accorciare con tagli di ritorno
    • diradare i rami a frutto in modo da garantire che ogni ramo possa nutrire e sorreggere i frutti
    • non potare durante le gelate

    Potatura verde

    Durante il periodo estivo si può eseguire la potatura verde (generalmente luglio) al fine di aumentare l’arieggiamento della chioma e favorire la penetrazione della luce. La potatura estiva serve anche per limitare lo spreco di risorse su rami infruttiferi prima della raccolta autunnale ed evitare di tagliare poi i succhioni in inverno che produrrebbero in quel periodo molti ricacci laterali.

    • spollonatura
    • scacchiatura
    • cimatura
    • inclinazione con distanziali
    • piegatura
    • curvatura
    • incisioni
    • diradamento frutti

    taglio

    Il taglio

    Il taglio si dice lungo se è più vicino all’apice del ramo, corto se è più vicino alla base del ramo. Bisogna tagliare con la base delle lame e non con la punta delle forbici. Il taglio deve essere netto altrimenti va rifilato. Il taglio va effettuato a 45 gradi, 6-7 mm sopra la gemma con l’inclinazione in modo tale che l’acqua defluisca da parte opposta al lato gemmato. Quando l’operazione ha per scopo di provocare un nuovo sviluppo bisogna tagliare sopra una gemma orientata nella direzione che si vuol far prendere al nuovo ramo. Ramoscelli e rami superflui devono essere tagliati alla base, cioè al loro punto di attacco ad altri rami o al fusto. Il taglio stimola le gemme dormienti vicine al taglio. Non bisogna lasciare monconi altrimenti la pianta non cicatrizza.

    Influenza della luna

    Esperimenti hanno dimostrato che le superstizionidei contadini riguardo all’influenza della luna sulla efficacia della potatura avevano un fondamento di verità. Il proverbio dice: luna calante gobba a levante, luna crescente gobba a ponente. Bisogna operare sempre nella fase di luna calante (con gobba a levante) per avere migliori risultati sulla fruttificazione. Posizione odierna della luna.

    Riconoscimento organi fruttiferi

    Ogni specie ha i suoi particolari tipi di gemme. Va conosciuta la pianta e come e su quali gemme e rametti fruttifica o fruttificherà nei prossimi anni per non rischiare di tagliare ciò che fruttificherebbe successivamente.

    ramo a legno, a frutto, lamburda, borsa, brindillo, dardo

    pollone, ricaccio generato da una radice o dal colletto del basale del fusto senza apparente utilità, da potare in estate

    • succhione, ricaccio vigoroso, liscio e ascendente generato sul fusto o su una branca da potare in estate, altrimenti in inverno tagliare alla base e poi in estate agire sui succhioni emessi lateralmente oppure in inverno agire speronando, curvando e incidendo per favorire una più rapida messa in produzione del ramo
    • brindillo, rametto sottile di circa un anno di età presente sia nelle pomacee che nelle drupacee lungo fino a 30 cm massimo coronato da sull’apice una gemma che si può differenziare a frutto. Le gemme laterali in genere sono a legno nelle pomacee, nel susino anche a fiore
    • dardo, rametto corto (2-3 cm) che si può trasformare in lamburda, presente sia nelle pomacee che nelle drupacee in forma spinosa, fiorifera e vegetativa
    • zampa di gallina, formazione di borsa, dardi e brindilli originati dalla borsa stessa tipica delle pomacee, vanno sempre eliminate perchè sono già sfruttate
    • ramo misto, ramo più lungo del brindillo (50-60cm) che porta entrambe le gemme (a legno e a fiore) raggruppate a 3, 2 o singole (in questo caso quasi sempre a legno) e brindilli e lamburde
    • lamburda, si trova nelle pomacee e somiglia parecchio al dardo da cui di solito è originata, è un rametto corto a frutto fondamentale. La lamburda fiorifera si presenta come un’unica gemma terminale mista circondata da foglie. Si trasforma in borsa dopo aver fruttificato. Nei rari casi in cui è più sfinata o non ha gemme laterali gonfie allora è a legno.
    • borsa, ramo misto di 2-3 cm di tre anni d’età che è il risultato dell’ingrossamento nelle pomacee della base dell’asse dell’infiorescenza per l’accumulo di sostanze nutritive e la formazione del tessuto di sostegno del frutto, la borsa continua a trasformarsi per l’emissione di nuovi dardi e brindilli e acquista la carettistica forma a zampa di gallina
    • mazzetti di maggio, sono dei ramettini molto corti sui rami di due anni almeno, mai su rami di un anno, che portano 6-7 gemme a fiore, di cui una al centro a legno che permette la formazione di un nuovo mazzetto di maggio per il prossimo maggio, in grado quindi di perpetuarsi anche per molti anni. Più il legno è vecchio e più i mazzetti di maggio sono lunghi poiche si autorinnovano ogni anno.

    differenti formazioni gemmarie

    differenti formazioni gemmarie: 1. brindillo, 2. dardo, 3. borsa, 4. lamburda, 5. succhioni

    In genere da un dardo (2) l’anno successivo si può formare una lamburda (4) da cui poi gemmerà un frutto e quindi una borsa (3) dalla quale rigemmerà una zampa di gallina

    Il fico

    Il fico non ha bisogno di potature ma solo di una regolazione, diradando le branche che tendono ad andare o troppo verso l’alto o verso il basso

    Drupacee

    Ne fanno parte il pesco, il susino, l’albicocco, ilmandorlo e il ciliegio. Pur con differenze di specie in specie, le drupacee hanno gemme specializzate,non hanno gemme miste e producono sostanzialmente tre tipi di rami fruttiferi:

    • i brindilli dell’anno precedente, le cui gemme apicali si differenziano a fiore (pesco, susino)
    • i rami misti (ciliegio, susino)
    • i mazzetti di maggio (albicocco, ciliegio, susino)

    In generale le drupacee fruttificano sui brindilli e rami misti dell’anno precedente oppure sui mazzetti di maggio, con differenze, secondo la specie o la cultivar.

    Il pesco produce quasi esclusivamente sui rami misti di un anno di media vigoria. Richiede potature anche drastiche di anche il 70% dei rami misti o troppo deboli o troppo vigorosi. Bisogna diradare alcuni brindilli e rami misti nuovi che nell’anno successivo potrebbero poi risultare troppi. Possono essere necessari accorciamenti con tagli di ritorno, in funzione della vigoria dei rami. Siccome il pesco fruttifica sui rami misti del secondo anno bisogna lasciare due o tre rami misti per branchetta, eliminando anche i rami deboli e quelli troppo vigorosi pieni di rametti anticipati speronando quasi alla base per lasciare un paio di gemme in basso da cui emeterrà il prossimo anno alcuni nuovi rami misti per i prossimi anni. Spesso le gemme non si schiudono e degenerano per cui se non lasciassimo uno sperone ogni tanto rischieremmo che non ci sia la possibilità di fare tagli di ritorno in futuro.

    L’albicocco, il susino e il ciliegio vanno potati in modo più leggero rispetto al pesco e produce:

    • sui rami misti (mandorlo, ciliegio, albicocco)  vanno potate similarmente ai ciliegi che producono sui dardi
    • sui brindilli che hanno gemme a fiore anche lateralmente e sulla corona e vanno potate similarmente al pesco
    • sui mazzetti di maggio (come alcune susine cino-giapponesi) e vanno potate similarmente all’albicocco

    vanno rinnovate le branche che tendono a esaurirsi e riportare quelle che tendono ad andare verso l’alto o prendere il sopravvento e quelle intricate (soprattutto per l’albicocco che cresce molto disordinatamente). Il ciliegio va potato dopo la raccolta perchè sui tagli si possono sviluppare dei gommosi che attraggono funghi.

    Pomacee

    Appartengono alle Pomacee le seguenti specie:melo, pero, cotogno, nespolo comune. Le gemme delle pomacee possono essere miste. Le formazioni fruttifere riconducibili alle pomacee sono polloni, succhioni, brindilli, dardi, zampe di pollo, rami misti, lamburde e borse.

    Nel caso del melo un brindillo lungo 20 cm con gemme laterali a legno che termina con una gemma a fiore produrrà una o due mele in cima nutrite dalle foglie laterali quindi quella mela sarà eccezionale, quindi i brindilli nuovi non vanno tagliati nel melo. In genere si tagliano alla base i brindilli vecchi di un anno che hanno già fruttificato se alla base hanno un brindillo nuovo. I rami già sfruttati si notano dalla borsa. Ogni volta che un brindillo fruttifica fa alla bese una borsa. Le gemme miste possono differenziarsi all’ultimo fruttificando o lignificando. In genere le gemme laterali dei brindilli del melo sono sempre tutte a legno. I brindilli non vanno mai cimati o speronati perchè hanno l’apice coronato da una gemma che si differenzierà a frutto. Spesso bisogna piegare i rami troppo acrotoni. Se un ramo è molto vigoroso e verticale potrebbe risultare difficile piegarlo allora si possono praticare una serie di incisioni distanziate di un cm profonde per metà diamentro che indeboliranno la branca e consentiranno di piegarla cicratizzando le ferite che combaceranno e venendo a contatto perfetto a causa della curvatura di piega. Ogni ramo deve avere il suo spazio. Rami troppo pieni di lamburde vanno raccorciati in corrispondenza di una lamburda debole. I diradamenti vanno fatti sui dorsali e gli incroci o quelli ombreggiati.

    Il pero, come il melo, fruttifica su lamburde e brindilli e va gestito allo stesso modo

    Riassunto

    Drupacee

    • hanno solo gemme specializzate
    • producono sui mazzetti di maggio, brindilli e rami misti di due anni, i rami dell’anno non portano frutti
    • i brindilli hanno gemme laterali a fiore
    • il pesco va potato a fondo eliminando il 50-70% dei rami misti troppo deboli e troppo vigorosi, speronando lasciando solo due gemme
    • mai cimare un ramo misto nel pesco
    • eliminare i rametti anticipati nel pesco
    • susino, albicocco e ciliegio vanno potati leggermente accorciando le altezze con tagli di ritorno, districando e rinnovando

    Pomacee

    • hanno gemme miste
    • producono sui brindilli, le lamburde, le borse e le zampe di gallo
    • i brindilli hanno gemme laterali a legno, mai speronarli
    • rinnovare i brindilli vecchi di un anno (hanno le borse basali), lasciare i brindilli nuovi
    • raccorciare i rami troppo pieni di lamburde in corrispondenza di una lamburda debole

    Tutti i tipi di olive da mensa


    Una per ogni occasione: tutti i tipi di olive

    Una per ogni occasione

    di Carlotta Mariani

    Verdi, nere, dalla forma allungata o tondeggiante, le olive sono sempre uno stuzzichino perfetto in ogni stagione, oltre a un ingrediente saporito per dare un tocco unico a piatti di pasta, di pesce, a insalate o alla pizza. ESISTONO TANTISSIME VARIETÀ IN ITALIA E NEL MONDO, OGNUNA CON CARATTERISTICHE DISTINTIVE Inoltre, proprio l’oliva è il simbolo di uno dei cocktail più famosi al mondo, amatissimo persino dallo 007 James Bond, ilMartini. Facile però dire oliva: sapete che ne esistono tantissime varietà in Italia e nel mondo, ognuna con proprie caratteristiche distintive sia nell’aspetto che nel sapore? Basta pensare alle differenze tra le taggiasche liguri e le olive kalamata greche. Nel nostro Paese poi ogni regione ha le sue specialità, in certi casi tutelate persino da Denominazioni d’Origine Protetta come è per l’oliva di Gaeta, riconosciuta dal ministero delle politiche agricole proprio nel 2015. Andiamo allora alla scoperta delle principali varietà di olive, assaporiamone profumi e sapori, vediamo come utilizzarle al meglio in cucina.

    1. Ascolana tenera: è un’oliva di Denominazione di Origine Protetta, conosciuta anche all’estero, che si coltiva nella zona di Ascoli Piceno, nelle Marche. Ha forma ellissoidale ed è molto polposa. Si raccoglie quando è ancora verde-giallognola e tradizionalmente si prepara ripiena di carne e poi fritta: si tratta delle tipiche olive all’ascolana, un esempio di street food a cui è difficile resistere. Queste olive sono ottime anche da conservare in salamoia. Pensate che persino gli antichi Romani amavano questa varietà che chiamavano la picena.
    1. Bella di Cerignola: è una varietà diffusa in Puglia che sembra avere origini molto antiche. Secondo alcuni deriva dalla tipologia Orchite dell’antica Roma, secondo altri è stata portata dalla Spagna nel XV secolo e per questo in passato era soprannominata oliva di Spagna. C’è però chi attribuisce questo nome al fatto che i frutti fossero lavorati con un metodo di origine spagnola. Al di là di queste discussioni sull’origine, dobbiamo sottolineare che è uno dei prodotti simbolo del Made in Italy, apprezzato all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. Dal 2000 la cultivar è stata inserita nei registri europei con la denominazione Bella della Daunia Dop. Potrete trovare le olive di questa varietà sia verdi, dalla polpa croccante, che nere. In entrambi i casi il sapore è delicato, la consistenza compatta e la forma allungata, di grandi dimensioni. Potete consumarle da sole oppure utilizzarle per insaporire una focaccia, primi piatti di pasta oppure pesce azzurro o carne bianca. Il suo sapore è infatti delicato e può dare sfumature interessanti senza coprire e annullare gli altri ingredienti.
    1. Carolea: la coltivazione di questi prodotti in Calabria è antichissima, persino antecedente all’arrivo dei greci nel VIII secolo a.C. Le olive carolea hanno forma ovoidale, polpa carnosa e sono coltivate in tutta la Calabria (dette quindi anche calabresi), ma con un’estensione importante soprattutto nella provincia di Catanzaro. Questa varietà è adatta per arrivare sulle nostre tavole sia con olive verdi che nere, ma è anche in grado di essere una buona base per l’olio extravergine. Di solito le olive carolea sono conservate in salamoia oppure essiccate al forno e assaporate al naturale, ma possono essere utilizzate anche come ingrediente di ricette a base di verdure o pesce.
    1. 4Cassanese: insieme alla carolea è la cultivar più importante della Calabria. Si coltiva soprattutto nella zona di Cassano allo Jonio e della piana di Sibari in provincia di Cosenza. Una volta raggiunta la maturazione, ovvero quando assume un colore nero brillante, è raccolta; solitamente è lasciata essiccare al sole per conservare il suo tipico sapore amarognolo oppure messa sotto sale per poi essere conservata con olio extravergine aromatizzato con peperoncino, scorza di limone o arancia oppure foglie di menta. Il nostro consiglio è di provarle così, magari durante un antipasto, accompagnate da salumi e formaggi calabresi.
    1. 5Chalkidiki: dalla Calabria passiamo alla Grecia e più precisamente nella regione centrale della Macedonia, terra delle olive chalkidiki, dalla forma grande e allungata, che si presenta di solito sulle nostre tavole con la colorazione verde brillante. Il sapore è piacevolmente salato con un retrogusto leggermente piccante, cosa che lo rende particolarmente indicato all’abbinamento con la feta greca.
    1. Gordal Sevillana: anche la Spagna è terra di ottime olive sia per l’olio extravergine che da consumare a tavola. La Gordal Sevillana è una cultivar tipica, apprezzata per i suoi frutti grandi e ciccioni (gordal significa grasso). Sono tipiche della zona di Siviglia, in Andalusia, ma la coltivazione è diffusa anche in altre provincie come quella di Cordoba. Il sapore delle olive è delicato, leggermente salato e dolce. Solitamente si presentano verdi e sono utilizzate spesso in piatti di mare, ma anche come tocco finale per il già citato Martini.
    1. 7Cucco: si coltiva in Abruzzo, tra Francavilla a Mare e Chieti, e la sua particolarità è la forma molto tonda che la fa assomigliare a una ciliegia, da qui il nome oliva da cuccare ocucco. Questa cultivar è adatta sia per la produzione di olio extravergine, che in Abruzzo è un’antica tradizione, sia di olive da tavola sia nere ma soprattutto verdi. Il sapore è delicato, con un retrogusto amarognolo che in caso di frutti ben maturi si addolcisce grazie alla salamoia. Assaggiatele come antipasto sulle bruschette o nei primi di pasta.
    1. 8Giarraffa: le prime piante furono portate in Sicilia dai greci e si diffusero sull’isola nei secoli successivi durante le dominazioni mussulmane. Possono essere commercializzate sia verdi che nere. Le prime hanno una polpa croccante e un sapore fresco, mentre le nere sono più dolci. Entrambe le tipologie si presentano delicatamente salate e con un retrogusto che tende all’amaro. La forma è particolare perché può ricordare un grande cuore allungato. Diversamente da altre varietà, la Giarraffa si raccoglie tra settembre e ottobre ma anche da novembre a gennaio.
    1. Hojiblanca: altra nota cultivar spagnola, coltivata in Andalusia tra le aree di Siviglia, Cordoba e Malaga e chiamata anche Priego de Córdoba. I frutti sono utilizzati molto spesso come base per produrre olio d’oliva ma anche come olive nere da tavola. Il sapore è delicato e piacevolmente amaro. Provatele con ricette a base di carne bianca.
    1. Itrana: dietro questa oliva c’è una leggenda che ci riporta a Enea. Si dice infatti che furono i suoi marinari a trovare questi frutti galleggiare in mare e a innamorarsene non appena assaggiati. Di sicuro questa cultivar è stata fin dall’antichità coltivata nella provincia di Latina e in particolare nella cittadina di Itri da cui prende il nome. Queste olive possono essere utilizzate come base per l’olio delle Colline Pontine Dop oppure al naturale. In base al grado di maturazione possono presentarsi con un nome diverso. Probabilmente avrete sentito parlare delle olive di Gaeta, che non sono altro che i frutti ben maturi della varietà Itrana, chiamati così perché erano esportati partendo dal porto di Gaeta. Sono eccezionali sulla pizza, in ricette a base di pesce o nelle insalate. La loro polpa soda e saporita vi conquisterà come ha già fatto con i marinai di Enea nella notte dei tempi. Una particolarità: l’itrana verde, raccolta a inizio novembre, può essere conservata in un modo tradizionale particolare: è infatti schiacciata (senza rovinare il nocciolo) e lasciata per un paio di settimane in acqua e sale. Una volta lavata è conservata con olio d’oliva, peperoncino, aglio e prezzemolo e proposta come antipasto.
    1. Kalamata: proveniente dall’omonima regione greca, è una delle varietà più famose del Paese ellenico. Diversamente da altre cultivar, la kalamata non è utilizzata per l’olio ma solo ed esclusivamente per ottime olive da tavola. Altra particolarità: si presentano di un colore a metà tra il verde e il marrone, sono molto facili da riconoscere. Di solito si trovano in salamoia, sottaceto o sottolio. Il loro sapore dolce e rotondo le rende particolarmente adatte ad accompagnare formaggi e piatti a base di verdure come la famosa insalata greca.
    1. Nocellara del Belice: in Sicilia, nella valle del fiume Belice, tra le province di Palermo, Agrigento e Trapani, si coltiva questa oliva, molto apprezzata per la sua qualità e il suo sapore fruttato. La varietà, riconosciuta dalla denominazione Dop, è caratterizzata da una forma tondeggiante, pezzatura grossa ed è utilizzata sia per la produzione di olive verdi, sia per quella di olio extravergine Valle del Belice Dop. Ha un periodo di raccolta molto breve che va da fine settembre a inizio ottobre ma poi si può conservare in una salamoia da utilizzare tutto l’anno per crostini, zuppe oppure piatti di pasta fresca o secca.
    1. 13Sant’Agostino: altra varietà tipica pugliese e più precisamente della provincia di Bari. La sua forma è tondeggiante, di dimensione media e sulle nostre tavole è proposta di colore verde (per l’olio non è adatta). Di solito l’oliva è raccolta a settembre e poi cotta in acqua e cenere per alcuni giorni. In Puglia, per tradizione, si conserva in una salamoia di acqua, finocchietto selvatico e sale. Vi consigliamo di mangiarla semplicemente così come aperitivo.
    1. 14Santa Caterina: questa cultivar nasce invece in Toscana, in provincia di Lucca (è anche detta oliva lucchese), anche se oggi è coltivata in varie parti del mondo, dall’Argentina al Libano, passando per la Slovenia. Ha forma ellissoidale ed è particolarmente apprezzata come oliva verde da tavola perché molto carnosa. Provatele al naturale, in salamoia oppure con il coniglio (una ricetta tipica proprio del lucchese).
    1. Taggiasca: deve il suo nome al convento benedettino di Taggia, in Liguria, da dove tutto è partito e ha una storia e una tradizione di più di 1000 anni. Oggi in realtà la sua coltivazione si estende lungo tutta la regione fino a raggiungere Monaco, seppure la denominazione Dop si riferisce solo alla riviera ligure. Probabilmente è una delle varietà più conosciute e amate, sia come base di un ottimo olio extravergine che al naturale. L’oliva taggiasca è molto piccola ma carnosa, facile da distinguere anche per il suo sapore fruttato, aromatico ed equilibrato. Solitamente sono selezionati frutti con gradi di maturazione diversa, poi lavorati in salamoia. Provateli in ricette tipiche liguri come ilconiglio o lo stoccafisso, ma anche per insaporire piatti di pasta o contorni di verdura.

    Legumi a tavola

    Quante volte a settimana mangiare i legumi

    Legumi (mobile)

    Versatili e pieni di benefici, ma quante volte a settimana mangiare i legumi? Ecco la risposta dei nutrizionisti

    Quante volte a settimana mangiare i legumi? Come abbinarli per ottenerne i maggiori benefici? E come regolarsi con le quantità? I dubbi sul consumo di legumi sono tanti.

    Questi alimenti sono sempre più presenti a tavola perché sono considerati da esperti e nutrizionisti una delle fonti proteiche vegetali migliori insieme ai cereali e alla frutta secca a guscio.

    Hanno infatti il grande vantaggio di fornire alcuni degli aminoacidi essenziali che sono i mattoni delle proteine e di essere del tutto privi di lipidi saturi.

    Sono quindi delle valide alternative a carne e derivati e pesce. In cucina poi sono super versatili. Si possono preparare in tantissimi modi. Ottimi in zuppe, minestre e insalate, sono degli ingredienti perfetti anche per realizzare deliziosi o hummus, polpette e burger veg. 

    Ma quante volte a settimana mangiare i legumi?

    ceci legumi

    In quanti pasti mangiare i legumi?

    Le linee guida per una sana alimentazione suggeriscono di mettere in tavola i legumi tre o più volte a settimana.

    L’ideale è alternare il consumo dei legumi secchi a quelli freschi o surgelati, bilanciando bene il contenuto del pasto.

    I ceci, i fagioli, le lenticchie, i piselli secchi sono più ricchi di aminoacidi essenziali, i mattoni delle proteine.

    I legumi freschi e surgelati sono meno proteici e calorici e più ricchi di acqua, mentre quelli in barattolo spesso contengono anche sale.

    Un’ottima strategia per rendere l’alimentazione equilibrata è poi alternare il più possibile le varietà, mettendo in tavola quelle più diffuse tra cui le lenticchie, i ceci,  i piselli, i fagioli e sperimentando i sapori del tutto nuovo di legumi poco conosciuti come le cicerchie oppure i lupini.

    Qual è la porzione ideale

    I legumi sono alimenti che hanno un valore energetico e nutritivo molto variabile. Si va dalle 30 calorie circa se sono freschi o surgelati alle 350 calorie se invece sono secchi.

    La porzione ideale per i legumi freschi o surgelati è di 150 grammi.

    Se invece si tratta di legumi secchi la porzione può variare dai 30 ai 50 grammi.

    Mentre nel caso dei derivati dei legumi, per esempio la farina la porzione è di 50 grammi.

    COME SI CLASSIFICANO GLI OLI DA OLIVE

    Si fa presto a dire “olio di oliva”! Scopriamo insieme quanti tipi di olio di oliva esistono e quali sono le caratteristiche da considerare per avere la certezza di fare un buon acquisto.

    Prima di partire alla scoperta della classificazione degli oli da oliva, consolidiamo le definizioni di base: cos’è l’olio da olive?

    L’olio da olive è il succo ottenuto dalla spremitura del frutto dell’olivo (Olea europaea), mediante processi meccanici (pressione delle olive) o altri processi fisici (lavaggio, decantazione, centrifugazione e filtrazione), in condizioni termiche controllate.

    Questo prodotto naturale è uno dei simboli della tradizione gastronomica del nostro Paese, oltre che un’autentica icona della dieta mediterranea. Per tutelarne la qualità, ogni lotto di olio prodotto e venduto in Europa deve rispettare rigorosi parametri, stabiliti dalla Comunità Europea (tramite il Regolamento 2568/91 e le sue successive modifiche). Questi parametri si traducono in una classificazione commerciale degli oli di oliva, che ti aiuterà a comprendere meglio leetichette e a orientarti in modo più consapevole nella scelta di quale olio mettere in tavola.

    Passiamo in rassegna tutte le tipologie di olio da olive riconosciute dalla Comunità Europea, soffermandoci sulle caratteristiche distintive di ognuna.

    La Comunità Europea classifica l’olio da olive in base a tre elementi:
    – il tipo di estrazione con cui l’olio è stato ottenuto;
    – la sua composizione, tra cui la percentuale di acidità libera (un parametro misurato tramite l’analisi chimica);
    – l’analisi organolettica.

    La classificazione degli oli di oliva

    All’inizio è tutto Olio di Oliva vergine poi a seconda delle analisi di laboratorio e dei controlli organolettici può essere:

    Olio di oliva vergine

    Olio di oliva extra vergine

    Olio di oliva lampante

    Olio di oliva raffinato

    Olio di oliva composto da oli di oliva vergini

    Olio di oliva di sansa greggio

    Olio di oliva di sansa raffinato

    Olio di sansa di oliva

    1. Olio di oliva vergine

    Si definisce così l’olio ottenuto dalla spremitura delle olive mediante processi esclusivamente meccanici, in condizioni che ne prevengano qualunque tipo di alterazione. Cosa significa, in parole semplici? Che per essere classificato come tale, quest’olio non deve subire alcun trattamento, oltre al lavaggio, alla decantazione, alla centrifugazione e alla filtrazione.

    A loro volta, gli oli di oliva vergini vengono classificati in base alla loro acidità libera: si tratta di un valore espresso in percentuale di acido oleico, che è il tipo di acido grasso prevalente nell’olio di oliva. Questi acidi sono normalmente presenti nei trigliceridi che costituiscono le materie grasse formando una catena, ma, a causa di diversi fattori, possono allontanarsi e rimanere liberi nella materia grassa.

    L’aumento dell’acidità libera (che può verificarsi sia nell’oliva sia nell’olio) determina una serie di modificazioni che portano alla formazione di componenti, causando un peggioramento delle caratteristiche organolettiche dell’olio.

    Inferiore è l’acidità libera di un olio vergine, superiore è la sua qualità.

    TipiOlio

    Ecco la classificazione merceologica degli oli di oliva vergini:

    • OLIO DI OLIVA EXTRA VERGINE
      È l’olio di oliva vergine con caratteristiche organolettiche superiori, privo di difetti, con acidità libera, espressa in acido oleico, che non supera gli 0,8 grammi per 100 g (≤ 0,8%).
    • OLIO DI OLIVA VERGINE
      È un olio di oliva vergine caratterizzato da un’acidità libera, espressa in acido oleico, che non supera i 2 grammi su 100 g (≤ 2%).
    • OLIO DI OLIVA LAMPANTE
      Olio di oliva vergine non vendibile al dettaglio, caratterizzato da difetti organolettici e un’acidità libera elevata che, espressa in acido oleico, è superiore a 2 grammi per 100 g (> 2,0%).

    2. Olio di oliva raffinato

    Si tratta dell’olio ottenuto dalla raffinazione dell’olio di oliva vergine. Questo processo industriale riduce l’acidità dell’olio ed elimina le sostanze ossidate. Il suo tenore di acidità libera, espresso in acido oleico, non supera il valore di 0,3 grammi per 100 g.

    Dopo la raffinazione, l’olio di oliva si presenta all’assaggio come una materia grassa priva di difetti; prima di poter essere confezionato deve essere miscelato in modo calibrato con un olio extra vergine o un olio vergine di oliva, che gli conferisca colore e sapore.

    3. Olio di oliva

    È un composto di oli di oliva raffinati e oli di oliva vergini. Nello specifico, si ottiene dal taglio di olio di oliva raffinato con olio di oliva vergine o extra vergine, con un tenore di acidità libera, espresso in acido oleico, non superiore a 1 grammo per 100 g.

    La legge non stabilisce la percentuale minima di olio vergine o extra vergine da unire al raffinato: normalmente, il taglio medio è nell’ordine del 5-8%, ma i migliori produttori preferiscono spingersi fino al 30%, utilizzando unicamente oli extra vergini che rendano ancor più gradito al palato e nutrizionalmente perfetto il loro “olio di oliva”.

    4. Olio di oliva di sansa greggio

    Diverso dall’olio di oliva è l’olio di sansa di oliva che si ottiene dai residui solidi della spremitura delle olive, in particolare dalle bucce, dalla polpa e dai noccioli, detti sanse, in cui è contenuto ancora un certo quantitativo di olio, variabile a seconda del metodo estrattivo. Quest’olio viene estratto con un solvente, normalmente esano, con la stessa tecnologia applicata per la produzione degli oli di semi. Il solvente viene poi separato dall’olio per distillazione.

    5. Olio di oliva di sansa raffinato

    Dal processo di raffinazione dell’olio di oliva di sansa greggio, che riduce l’acidità dell’olio ed elimina le sostanze ossidate, si ottiene l’olio di oliva di sansa raffinato.

    6. Olio di sansa di oliva

    Olio ottenuto dalla miscela di olio di oliva di sansa raffinato e olio di oliva vergine.

    da Olio Carli web

    L’olivo antico

    Ciao a tutti! Sì, sì. Sai quanti anni ha? Quella che potrebbe aver visto i vostri antenati. Oggi vi parlo dell’ulivo più antico. Un po’ di storia.  L’olivo è conosciuto dall’umanità da moltissimo tempo. Ma gli storici non hanno trovato un accordo sull’origine dell’ulivo. Nell’antichità l’ulivo era simbolo di pace, vittoria e vita. Era considerato un albero della fertilità. Se una donna voleva avere un figlio, dormiva su foglie di ulivo all’ombra dell’ulivo.

    Questi alberi sono molto longevi. Ha un tronco contorto e una chioma verdeggiante. Non iniziano a fruttificare prima dell’8°-9° anno di vita e aumentano il numero di frutti ogni anno. La produttività degli alberi si stabilizza tra i 70-80 anni di età. Dopo questo periodo, la fecondità dell’olivo inizia a diminuire.

    Gli olivi crescono molto lentamente. Vivono per mille anni. Immaginate quante cose ha visto nei suoi secoli! E naturalmente la sua costante lotta contro le malattie e gli insetti. Disastri naturali e incendi. Quante paure deve aver avuto che un giorno sarebbe stata sradicata come una vecchia, brutta pianta indesiderata.

    L’antico ulivo preistorico vive a Santa Iria da Azoya. Un’area del Portogallo, parte della contea di Lisbona. Questa parte del comune di Lores. Ha avuto origine quando il Portogallo non esisteva ancora. È stato il momento in cui è sorta la stella di Betlemme e il figlio di Dio è apparso sulla Terra. L’albero miracoloso ha 2.850 anni. Scienziati di tutto il mondo si sono recati in Portogallo per confermare ufficialmente la sua età. L’ulivo ha un diametro di 10,15 m e un’altezza di 4,40 m. Il diametro della corona raggiunge gli 8,40 metri. È un’incredibile meraviglia naturale. Il fenomeno si sviluppa nella zona del Bairro da Covina. La leggenda vuole che la costruzione del Castelo de Pirescouxe sia iniziata nel 1442. La costruzione proseguì allegramente e rapidamente. La posizione è ottima, con la capitale e il bellissimo Tago a portata di mano. Intorno alla fortezza di Pirescouxe furono piantati giovani ulivi che ancora oggi sorvegliano le mura della fortezza. La struttura non è stata risparmiata dal passare del tempo. Ne rimangono alcune pareti e una piccola stanza. L’ulivo, invece, è pieno di vita. L’antico ulivo non è più in pericolo: è stato recintato ed è stato dichiarato l’albero più vecchio del Portogallo. Persone da tutto il mondo vengono a vedere questa vecchia signora. Gli scienziati ritengono che in Portogallo esista un ulivo ancora più antico che cresce nei terreni di una fattoria privata. Il proprietario della proprietà non permette ancora agli esperti di condurre un’analisi dell’età dell’albero. Per il momento, quindi, l’albero più vecchio del Portogallo sarà considerato l’olivo di Santa Iria da Azoya. Coltivare un olivo in casa è davvero facile. Dovete provare. Tutto quello che dovete fare è piantarlo correttamente e curarlo regolarmente.

    Il rispetto per l’olivo in Portogallo risale a tempi antichi. L’albero era considerato sacro. Era considerato un albero sacro e il suo abbattimento era punibile con la morte o la reclusione.

    Questo naturalmente non accade più al giorno d’oggi, ma comunque gli ulivi sono molto protetti. Anche gli alberi non fruttiferi sono protetti. E vivono fuori dal tempo e dallo spazio.

    Auguri a tutti voi! Leggete, studiate e venite a vedere l’antico ulivo.

    Idrossitirosolo nell’Olio di oliva

    Che cos’è l’idrossitirosolo?

    L’idrossitirosolo è un composto chimico vegetale presente nell’olio di oliva sotto forma del suo estere con l’acido elenolico (oleuropeina). Ha forti proprietà antiossidanti. Insieme con l’oleocantale è responsabile del gusto leggermente amaro e piccante dell’olio extra vergine di oliva e con l’oleocantale e l’oleuropeina è ritenuto responsabile delle proprietà benefiche della dieta mediterranea. Insieme queste sostanze costituiscono i cosiddetti “polifenoli da olivo”.

    A cosa serve l’idrossitirosolo?

    L’idrossitirosolo e i polifenoli da olivo sono sostanze rientranti nel documento redatto dal Ministero della Salute “Altri nutrienti e altre sostanze ad effetto nutritivo o fisiologico” e in particolare nell’elenco “Altre sostanze senza apporto massimo giornaliero definito”.

    L’idrossitirosolo in particolare e i polifenoli da olivo in generale sono inseriti negli integratori perché si ritiene agiscano da potenti antiossidanti. In particolare l’idrossitirosolo e i polifenoli da olivo sarebbero in grado di contribuire alla protezione dei lipidi presenti nel sangue dagli effetti nocivi procurati dallo stress ossidativo.

    L’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha approvato l’uso dell’idrossitirosolo/polifenoli da olivo come sostanze in grado proteggere i lipidi presenti nel sangue dagli effetti nocivi dello stress ossidativo. L’Efsa precisa che questa indicazione può essere autorizzata solo per gli oli di oliva che contengono almeno 5 mg di idrossitirosolo e suoi derivati (ad esempio oleuropeina e tirosolo) ogni 20 g di olio di oliva. L’Efsa sottolinea inoltre che l’effetto benefico antiossidante si ottiene con l’assunzione giornaliera di 20 g di olio di oliva.

    Avvertenze e possibili controindicazioni

    Solitamente l’assunzione di idrossitirosolo e polifenoli da olivo risulta ben tollerata all’organismo e non presenta controindicazioni se consumato in modo appropriato. È bene che si astengano dal consumare idrossitirosolo e polifenoli da olivo i soggetti con allergia presunta o certa verso queste sostanze. In gravidanza e allattamento l’assunzione di idrossitirosolo e altri polifenoli da olivo mediante una varia alimentazione è considerata sicura; poiché, però, attualmente non ci sono sufficienti informazioni circa la sicurezza dell’assunzione di dosi più alte di queste sostanze, è bene non assumerne quantità superiori rispetto a quelle che si trovano comunemente negli alimenti.

    Disclaimer 

    Le informazioni riportate rappresentano indicazioni generali e non sostituiscono in alcun modo il   parere medico. Per garantirsi un’alimentazione sana ed equilibrata è sempre bene affidarsi ai   consigli del proprio medico curante o di un esperto di nutrizione.

    ESANALE E OLEOCANTALE LO RENDONO UN MEDICINALE

    NON C’È GRASSO AL MONDO CHE POSSA COMPETERE CON L’OLIO da OLIVE.

    • L’esanale, presente nell’olio da olive sotto due forme, aiuta a ridurre e ritardare l’assorbimento di glucosio da parte delle cellule del fegato, rallentando il calo glicemico che viene tradotto dall’organismo con un nuovo segnale di fame.
    • Oleocantale, una sostanza dalle capacità analgesiche e antinfiammatorie simili a quelle dell’ibuprofene, che si usa nella pratica medica come antiaggregante piastrinico per migliorare la circolazione ematica.
    • Oleocantale quasi un antibiotico naturale
    • L’oleocantale è una sostanza organica naturalmente presente soprattutto nei frutti dell’Ulivo (Olea europea), ed è la sostanza principalmente responsabile del “bruciore in gola” tipico degli oli extra vergini di oliva.
    • Chimicamente è un derivato polifenolico, ed è presente in percentuale molto elevata nell’oliva in maturazione, per poi diminuire drasticamente in concentrazione durante la maturazione del frutto. Questo fatto evidenzia l’importanza del periodo di raccolta delle olive come fattore di qualità del prodotto finale, sia come oliva alimentare, sia come oliva per l’industria olearia.

    Salute e sapore

    Salute e gusto non possono essere separati nel promuovere l’olio extra vergine d’oliva

    Salute e gusto non possono essere separati nel promuovere l'olio extra vergine d'olivaIl modello dell’olio d’oliva ha mostrato risultati simili a quello degli alimenti biologici. Spunti per i manager del turismo e dell’ospitalità e per i produttori di olio d’oliva


    L’olio extra vergine di oliva non è solo salute e benessere ma anche profumi e sapori. E’ la combinazione di questi due fattori a renderlo un alimento speciale e molto amato dai consumatori, secondo una recente ricerca dell’Istituto per l’agricoltura e il turismo croato.

    L’indagine ha dimostrato che i consumatori percepiscono l’olio d’oliva come salutare per la forma fisica e la memoria, in particolare per la salute dei vasi sanguigni. Questo è in accordo con i regolamenti, che affermano che “gli steroli/stanoli vegetali contribuiscono al mantenimento del normale colesterolo nel sangue nello sviluppo delle malattie umane.”

    Poiché i consumatori erano consapevoli che i grassi dovrebbero essere limitati nella loro dieta, l’olio d’oliva potrebbe essere presentato come un’alternativa sana ad altri grassi ma usato con moderazione (la confezione/etichetta potrebbe anche indicare un uso consapevole).

    La ricerca croata ha esaminato il ruolo del comportamento salutare sulle motivazioni di consumo dell’olio d’oliva e gli effetti di mediazione della percezione dei benefici per la salute dell’olio d’oliva su questa relazione.

    I risultati hanno suggerito che il comportamento salutare del turista supporta il consumo di extra vergine influenzando direttamente il piacere che i consumatori traggono dal consumo di olio d’oliva. Inoltre, i benefici per la salute dell’olio d’oliva mediano la relazione tra un comportamento sano ed entrambe le motivazioni di consumo dell’olio d’oliva, supportando indirettamente i risultati di come lo stile di vita influenza il consumo di alimenti funzionali e sostiene la scoperta che i benefici percepiti per la salute del prodotto influenzano la sua motivazione di consumo.

    Il modello dell’olio d’oliva ha mostrato risultati simili a quello degli alimenti biologici in cui gli attributi di salute degli alimenti sono importanti.

    I risultati dello studio forniscono anche spunti per i manager del turismo e dell’ospitalità e per i produttori di olio d’oliva in relazione all’importanza del comportamento salutare del turista sul consumo di olio d’oliva, in particolare, sugli attributi del prodotto olio d’oliva e sui suoi benefici per la salute. Le strutture turistiche e di ospitalità che promuovono il turismo di nicchia come il benessere e gli stili di vita sani, lo sport e il turismo gourmet possono incorporare l’olio d’oliva come parte della loro offerta nutrizionale e culinaria. Per i turisti, l’uso dell’olio d’oliva in diversi piatti durante le loro vacanze fornisce piacere e la percezione di fare bene alla propria salute, il che può stimolare il suo uso futuro.

    Bibliografia

    Ilak Peršurić, A.S.; Težak Damijanić, A. Connections between Healthy Behaviour, Perception of Olive Oil Health Benefits, and Olive Oil Consumption Motives. Sustainability 2021, 13, 7630

    By TeatroNaturale Web

    OLIO D’OLIVA PER LA SALUTE

    Quanto olio d’oliva dovresti mangiare per la salute del cuore?

    Per raccogliere i benefici dell’olio d’oliva, la FDA suggerisce:

    Mangiare circa 2 cucchiai (23 grammi) di olio d’oliva al giorno può ridurre il rischio di malattie coronariche a causa del grasso monoinsaturo nell’olio d’oliva.

    La FDA raccomanda che i 2 cucchiai di olio d’oliva sostituiscano altri grassi nella dieta come burro o altri grassi saturi.

    Da notare il fatto che i benefici per la salute dell’olio d’oliva approvati dalla FDA si applicano a tutti gli oli d’oliva, compreso l’olio d’oliva vergine, le miscele di olio d’oliva vergine e l’olio d’oliva raffinato oltre all’olio extra vergine di oliva.

    Squalene da olive

    As Growing Demand for Squalene Leads to More Shark Deaths, Olives Offer a Solution.

    La crescente domanda di squalene porta a più morti di squali, le olive offrono una soluzione

    Olives are becoming more popular as a source of squalene in cosmetics, yet 90 percent of the industry still relies on shark liver oil resulting in 2.7 million shark deaths annually.

    Le olive stanno diventando sempre più popolari come fonte di squalene nei cosmetici, ma il 90% del settore fa ancora affidamento sull’olio di fegato di squalo, provocando la morte di 2,7 milioni di squali ogni anno.

     Lisa Anderson

    The demand for squalene — a lipid used in cosmetics and vaccines — has grown in recent years, and olives are increasingly being touted as a more sustainable source than shark livers, but cost remains a concern.

    La domanda di squalene — un lipide utilizzato nei cosmetici e nei vaccini — è cresciuta negli ultimi anni e le olive vengono sempre più pubblicizzate come una fonte più sostenibile rispetto al fegato di squalo, ma i costi rimangono una preoccupazione.

    Olive-derived squalene is 30 percent more expensive than the alternative from shark livers. Even with olives steadily becoming more popular as a source of squalene in cosmetics, 90 percent of the industry relies on shark liver oil and is responsible for 2.7 million shark deaths annually.

    Lo squalene derivato dalle olive è il 30% più costoso dell’alternativa ricavata dal fegato di squalo. Anche se le olive stanno diventando sempre più popolari come fonte di squalene nei cosmetici, il 90% del settore fa affidamento sull’olio di fegato di squalo ed è responsabile della morte di 2,7 milioni di squali ogni anno.

    Squalene and its hydrogenated counterpart, squalane, are used in cosmetics as emollients; and in vaccines as adjuvants, which boost the immune system response.

    Lo squalene e la sua controparte idrogenata, lo squalano, sono utilizzati nei cosmetici come emollienti; e nei vaccini come adiuvanti, che potenziano la risposta del sistema immunitario.

    See Also: Biomass from Olive Groves Fuels Heineken Factory in Southern SpainAccording to the Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), approximately 2,500 to 3,000 sharks are needed to harvest one ton of squalene.

    Vedi anche: La biomassa proveniente dagli uliveti alimenta lo stabilimento Heineken nel sud della SpagnaSecondo l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite (FAO), sono necessari circa 2.500-3.000 squali per raccogliere una tonnellata di squalene.

    By contrast, the Olive Wellness Institute estimates that between 77 and 1,250 tons of olive oil (depending on the olive variety, extraction method and level of refining) possess the same amount of squalene. Extra virgin olive oil has the highest levels of lipid of any vegetable oil.

    Al contrario, l’Olive Wellness Institute stima che tra 77 e 1.250 tonnellate di olio d’oliva (a seconda della varietà di oliva, del metodo di estrazione e del livello di raffinazione) possiedano la stessa quantità di squalene. L’olio extra vergine di oliva ha i più alti livelli di lipidi di qualsiasi olio vegetale.

    Although a large proportion of the shark-derived version of this lipid comes from bycatch, when sharks are unintentionally caught in fishing nets, the concern is that the sharks are captured instead of set free due to the demand for squalene.

    Sebbene gran parte della versione di questo lipide derivata dagli squali provenga da catture accessorie, quando gli squali vengono involontariamente catturati nelle reti da pesca, la preoccupazione è che gli squali vengano catturati invece che liberati a causa della domanda di squalene.

    This goes undetected and makes it virtually impossible to establish how many sharks are caught exclusively for squalene.

    Ciò non viene rilevato e rende praticamente impossibile stabilire quanti squali vengono catturati esclusivamente per lo squalene.

    Late last year, with scientists racing to develop a range of Covid-19 vaccines, conservationists started expressing concern about the impact on shark populations as the demand for squalene increased.

    Alla fine dell’anno scorso, mentre gli scienziati correvano per sviluppare una gamma di vaccini contro il Covid-19, gli ambientalisti hanno iniziato a esprimere preoccupazione per l’impatto sulle popolazioni di squali con l’aumento della domanda di squalene.

    While none of the approved Covid-19 vaccines use shark squalene, five of the 300 vaccines in development do.

    Sebbene nessuno dei vaccini Covid-19 approvati utilizzi lo squalene di squalo, cinque dei 300 vaccini in fase di sviluppo lo fanno.

    However, environmentalists are concerned that if Covid-19 vaccines containing squalene are widely approved and the coronavirus vaccine becomes an annual requirement, as some health experts predict, demand for the lipid will increase.

    Tuttavia, gli ambientalisti temono che se i vaccini Covid-19 contenenti squalene saranno ampiamente approvati e il vaccino contro il coronavirus diventerà un requisito annuale, come prevedono alcuni esperti sanitari, la domanda del lipide aumenterà.

    Italiani e obesità

    Rapporto sull’obesità in Italia: più a rischio gli uomini, soprattutto al Sud. 

    Rapporto sull’obesità in Italia: più a rischio gli uomini, soprattutto al Sud

    Uomo e prevalentemente del sud. Questa la fotografia dell’obeso medio nel nostro Paese secondo il nuovo rapporto sull’obesità in Italia, un volume di oltre 400 pagine con oltre 40 autori, tra clinici e ricercatori, presentato nei giorni scorsi dall’Istituto auxologico italiano.

    Secondo gli ultimi dati, sono infatti molto spiccate le differenze di genere per l’eccesso di peso. La stima provvisoria per il 2020 attesta che su 10 uomini adulti, circa 6 sono in eccesso di peso, a fronte di 4 donne su 10. In entrambi i generi il picco di prevalenza si osserva tra i 65 e i 74 anni, dove raggiunge il 53% per le donne e circa il 68% per gli uomini. Lo svantaggio maschile tra gli adulti si registra già tra i giovani di 18-34 anni (+40% in media) e dopo i 35 anni in tutte le classi di età che si susseguono oltre il 50% degli uomini presenta un eccesso ponderale, mentre per le donne questo si verifica solo dopo i 65 anni.

    La popolazione maschile è la più esposta al rischio di obesità: 11,7% tra gli uomini e 10,3% tra le donne, sebbene nelle età più anziane, tra i 75 enni, siano le donne a essere significativamente più sfavorite. Quando si considera la grave obesità, individuata da un indice di massa corporea pari o superiore a 35, di cui in Italia soffre oltre un milione di persone pari al 2,3% degli adulti, le donne risultano maggiormente colpite: nelle classi di età più anziane presentano prevalenze quasi doppie rispetto agli uomini e tra le donne anziane del Mezzogiorno la quota supera addirittura il 5%.

    Per quanto riguarda la distribuzione regionale, complessivamente nel nord-ovest e nel centro la prevalenza di obesità si attesta al 10%, mentre nel nord-est e nelle isole il valore raggiunge l’11,4% e nel sud il 12,4%.

    Per bambini e adolescenti le cose non vanno meglio. Tra i 7 e gli 8 anni, la prevalenza di obesità in Italia è pari al 18%. Dato in aumento negli adolescenti, dove ci collochiamo nella fascia centrale della graduatoria dei Paesi dell’Unione europea, con un livello pari al 19%.

    In Italia, come per gli adulti, tra i 3 e i 17 anni si osserva un forte gradiente territoriale nella distribuzione dell’obesità tra la popolazione giovanile: 34,1% al sud al, 20,0% del nord-ovest, 22,4 % nel nord-est, 23,9% del centro e 28,4% nelle isole, con quote più elevate soprattutto in Campania (37,8%), Molise (33,5%), Basilicata (32,4%), Abruzzo e Puglia (31,2%).

    Così commenta Gianfranco Parati, direttore scientifico dell’Auxologico: “Il nostro mondo sta vivendo una trasformazione epocale di tipo demografico, sociale, economico e ambientale, fortemente influenzata dalla pandemia di Covid-19. In questo contesto l’epidemia dell’obesità e delle malattie non trasmissibili, insieme all’invecchiamento della popolazione, minacciano seriamente i sistemi sanitari. Sebbene dal 2000 in poi si sia assistito a una lenta ma progressiva presa di coscienza dei governi del mondo occidentale sull’esigenza di dare risposte concrete alla pandemia di obesità, le politiche intraprese non sono apparse in grado di incidere concretamente sull’evoluzione del fenomeno». (n.m.)

    EVO per friggere

    Ancora troppa ignoranza sulla frittura con olio extra vergine di oliva

    Ancora troppa ignoranza sulla frittura con olio extra vergine di oliva

    Si pubblicizzano i polifenoli ma poi si scoraggia l’uso di extra vergini che ne sono ricchi in frittura. La corretta cultura dell’olio deve partire dagli operatori del settore. Parola d’ordine semplificare senza banalizzare


    L’olio extra vergine di oliva di alta qualità è un ottimo prodotto, un ingrediente perfetto per molti piatti e naturalmente anche per friggere.
    Per sfatare il tabù olio extra vergine di oliva-frittura, occorre dare informazioni corrette, distinguendo bene il piano gastronomico-edonistico da quello salutistico-nutrizionale.

    Grazie alla sua resistenza alle alte temperature, l’olio extravergine di oliva è il miglior olio per friggere. Il suo punto di fumo (temperatura quindi intorno alla quale si creano composti cancerogeni) è intorno ai 210°C. Inoltre, l’olio di oliva extravergine sembra avere una quantità di sostanze che servono non solo a preservare il sapore dell’olio stesso, ma anche a proteggere l’alimento con il quale viene in contatto.

    Non tutti gli oli extravergini, però, sono uguali. Per una frittura delicata il consiglio è quello di utilizzare un olio leggero e morbido, un olio delicato, leggermente fruttato con sentori di oliva, nocciole, pinoli e mandorle. Un olio dal gusto principalmente morbido, con sensazioni appena percettibili di amaro e piccante. Oppure, all’occorrenza, possono essere utilizzati per friggere anche oli di oliva di maggior struttura ma già in fase di maturità avanzata. Oli che abbiano parzialmente perso quelle tipiche note di amaro e piccante che li contraddistinguono rendendoli più idonei per friggere.

    Stante i molti errori contenuti, ci siamo permessi di correggerlo come segue:

    Grazie alla sua resistenza alle alte temperature, l’olio extravergine di oliva è un ottimo olio per friggere. Il suo punto di fumo (temperatura alla quale, in determinate condizioni, dall’olio emergono sufficienti composti volatili e un fumo bluastro diventa chiaramente visibile) varia da 190 a 210°C. Non tutti gli oli extra vergini di oliva sono uguali, infatti, poiché il contenuto di polifenoli, e in misura minore tocoferoli, così come la percentuale di acido oleico, più alta è meglio è, influenzano le performance dell’olio in frittura. Un olio amaro e piccante, insomma, avrà un punto di fumo superiore ma soprattutto una superiore stabilità ossidativa. La stabilità ossidativa, non il punto fumo, è il miglior fattore predittivo di come si comporta un olio durante la cottura. E’ quando un olio perde stabilità ossidativa che si formano composti indesiderati e potenzialmente dannosi. Quindi per preservare la nostra salute sarà bene utilizzare un olio extra vergine di oliva con un alto contenuto di acido oleico, di polifenoli e di tocoferoli.

    Anche dal punto gustativo non tutti gli oli extra vergini sono uguali, anche se da tutti è possibile ottenere una frittura leggera, ovvero facilmente digeribile. Se vogliamo però un piatto in cui il sapore dell’olio non copra quello degli altri ingredienti dovremo utilizzare l’olio più adatto.

    Un olio dal fruttato leggero per certi crostacei dolci o pesci delicati per arrivare a fruttati intensi per carni e alcune verdure. Se è il gusto a dettare la linea dovremo trovare quindi la combinazione che ci soddisfa di più, essendo però consapevoli che un olio dal fruttato leggero, tanto più se al termine della propria vita, non va utilizzato a 190°C ma meglio abbassare le temperature a 160°C o meno, ricordando di asciugare bene il cibo prima di immergerlo nell’olio. L’acqua è nemica della frittura perfetta.

    by Teatronaturale.web

    EVO per il Fegato

    Ecco come l’olio extra vergine d’oliva protegge il fegato

    Ecco come l'olio extra vergine d'oliva protegge il fegato

    I componenti bioattivi dell’extra vergine sono l’acido oleico e i composti fenolici ad alta attività antiossidante che sono in grado di ridurre la lipogenesi e la sintesi del colesterolo, proteggendoci da patologie epatiche


    L’olio extravergine di oliva contribuisce significativamente alla salute umana.

    I componenti bioattivi dell’extra vergine sono l’acido oleico e i composti fenolici ad alta attività antiossidante.

    In colture di epatociti di ratto, l’idrossitirosolo (HTyr), il tirosolo e l’oleuropeina, i principali fenoli dell’extra vergine, riducono significativamente sia la lipogenesi de novo (DNL) che la sintesi del colesterolo influenzando le attività dell’acetil-CoA carbossilasi (ACC) e della 3-idrossi-3-metil glutaril-CoA reduttasi (HMGCR), enzimi chiave della DNL e della sintesi del colesterolo, rispettivamente.
    Lo stesso effetto inibitorio sulla sintesi dei lipidi negli epatociti è stato riportato dagli estratti di extra vergine ad alto contenuto di fenoli.

    I risultati nelle cavie da laboratorio e nell’uomo evidenziano le azioni ipolipemizzanti e antisteatosiche dei fenoli dell’extra vergine nella malattia non alcolica del fegato grasso, la malattia epatica cronica più comune nei paesi occidentali.
    Inoltre, l’idrossitirosolo e l’acido oleico, quest’ultimo il principale acido grasso dell’extra vergine, diminuiscono la sintesi degli acidi grassi e del colesterolo in un modello di linea cellulare di glioblastoma inibendo l’attività e l’espressione dell’ACC e dell’HMGCR.

    EVO ANTIOSSIDANTE

    L’olio extra vergine d’oliva agisce come antiossidante nel sangue, nel cervello, nei muscoli e nell’intestino tenue

    L'olio extra vergine d'oliva agisce come antiossidante nel sangue, nel cervello, nei muscoli e nell'intestino tenueL’extra vergine esercita un’azione tessuto-specifica quando somministrato in vivo, ma solo quando l’olio ha un alto contenuto fenolico, fonte nutrizionale di antiossidanti

    L’olio extra vergine d’oliva ha un ruolo predominante nella dieta dei paesi mediterranei. Secondo un claim salutistico approvato dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, l’olio protegge contro la perossidazione lipidica indotta dallo stress ossidativo nel sangue umano, quando contiene almeno 5 mg di idrossitirosolo e suoi derivati per 20 g.

    Tuttavia, gli studi riguardanti gli effetti del totale di biofenoli sullo stato redox in vivo sono scarsi e o osservazionali e non forniscono un quadro olistico della loro azione nei tessuti.

    Dopo una serie di test di screening in vitro, un extra vergine contenente biofenoli a 800 mg/kg è stato somministrato per 14 giorni a ratti Wistar maschi ad una dose corrispondente a 20 g di extra vergine al giorno per gli esseri umani.

    I nostri risultati hanno mostrato che l’extra vergine ha rafforzato il profilo antiossidante del sangue, del cervello, del muscolo e dell’intestino tenue, ha indotto lo stress ossidativo nella milza, nel pancreas, nel fegato e nel cuore, mentre nessun effetto distinto è stato osservato nel polmone, nel colon e nel rene.

    L’olio, sebbene sia considerato una fonte nutrizionale ricca di antiossidanti, esercita un’azione specifica sui tessuti quando somministrato in vivo.

    By Teatro Naturale

    Bibliografia

    Paraskevi Kouka, Fotios Tekos, Zoi Papoutsaki, Panagiotis Stathopoulos, Maria Halabalaki, Maria Tsantarliotou, Ioannis Zervos, Charitini Nepka, Jyrki Liesivuori, Valerii N. Rakitskii, Aristidis Tsatsakis, Aristidis S. Veskoukis, Demetrios Kouretas, Olive oil with high polyphenolic content induces both beneficial and harmful alterations on rat redox status depending on the tissue, Toxicology Reports, Volume 7, 2020, Pages 421-432, ISSN 2214-7500