Etimologia
Il nome botanico del fico d’india è Opuntia ficus-indica: questa demoninazione, tuttora attuale, fu qualificata da Miller nel 1768, ma il nome probabilmente deriva da Cristoforo Colombo, che nel 1493 credette di essere approdato proprio in India.
Il fico d’India è una pianta nativa del Messico: l’importanza di questa pianta per i messicani è tale da incarnare il simbolo del Paese, tanto che appare persino nella bandiera della Repubblica Messicana. L’opuntia è diffusa, attualmente, in tutta l’America, nel Mediterraneo (in particolare Sicilia), in Africa, in Asia ed in Australia.
“Tenace monumento dei deserti”: è con questa metafora che viene al meglio descritto il carattere del fico d’India, frutto coronato di spine che sopravvive alle aride e secche temperature desertiche.
Per molto tempo, il fico d’india ha rappresentato un simbolo della tradizione Azteca: oggi è fonte di interesse non solo in ambito alimentare ed agricolo, ma anche in quello fitoterapico e cosmetico.
Proprietà Nutrizionali
La composizione nutrizionale delle foglie del fico d’India è molto diversa da quella del frutto e dei semi.
Composizione chimica frutto/semi
Se i semi sono ricchi di lipidi e proteine, i frutti sovrabbonadano di zuccheri semplici come glucosio e fruttosio. Nel frutto ci sono anche sostanze anti-ossidanti come l’indicaxantina e la betanina, che contrastano i processi ossidativi.
Composizione chimica delle “foglie”
I cladodi della pianta contengono una consistente quantità di acqua, ma rappresentano anche una preziosa fonte di oligoelementi (potassio, magnesio, calcio, ferro, silice), sostanze nutritive (soprattutto fibra grezza, carboidrati) e vitamine, in particolare vitamina C e precursori della vitamina A (beta-carotene, luteina ed alfa-criptoxantina). Nel succo delle foglie non mancano tiamina, riboflavina, niacina, vitamina B6 e folati. Inoltre, nelle foglie del fico d’India si trovano molti aminoacidi, tra cui 7 essenziali.
Quali sono i benefici del fico d’India?
Proprietà fitoterapiche del fico d’India
Recentemente, nel Dipartimento di Medicina di New Orleans (Stati Uniti) è stato dimostrato un possibile effetto nella diminuzione dei sintomi che seguono l’intossicazione alcolica.
Anche l’azione antiossidante del fico d’India è stata dimostrata da uno studio svolto nel Dipartimento di Farmaceutica, Tossicologia e Chimica Biologica dell’Università di Palermo, e nel Dipartimento di Farmacia dell’Università di Gerusalemme: la betanina e l’indicaxantina sono le due sostanze antiossidanti responsabili dell’azione anti-radicalica.
Anche le attività diuretiche e citoprotettrici hanno un fondamento di verità: queste azioni attribuite al fico d’India sono state valutate dal Dipartimento Farmaco Biologico della Facoltà di Farmacia dell’Università di Messina: precisamente, l’attività diuretica è potenziata dall’infuso del frutto e non dal fiore.
Usi nella tradizione
Sono molteplici gli usi del fico d’India: molte usanze affondano le radici nell’antico popolo azteco: già all’epoca, gli Aztechi utilizzavano le foglie del fico d’India per allevare un insetto, il Dactylopius coccus Costa, che serviva per ottenere il rosso di cocciniglia. Dal corpo dell’insetto essiccato veniva estratta la colorazione rossa, tuttora richiestissima in ambito cosmetico, farmaceutico, tessile ed alimentare.
Un tempo, il succo ricavato dalle foglie era utilizzato come lubrificante per agevolare gli spostamenti di grandi massi di pietra; inoltre, associato a miele e rosso d’uovo, sembrava essere utile contro le scottature. Poteva essere usato anche per alleviare infiammazioni, lussazioni e tonsilliti.
Grazie alle risorse vitaminiche, il fico d’India era usato anche dai conquistatori del Messico per contrastare lo scorbuto, malattia da carenza di vitamina C.
I fiori, nella medicina contemporanea messicana, sono utilizzati per contrastare la cistite e come diuretici; i frutti aiutano a bloccare la diarrea ed esercitano azioni astringenti, mentre le fibre e le mucillagini sono tuttora usate come protettrici della mucosa gastrica e come regolatrici della glicemia.
L’opuntia vanta proprietà ipocolesterolemizzanti grazie alla componente fibrosa delle foglie; le mucillagini, oltre a conferire all’omonima pianta proprietà gastroprotettrici, le donano anche proprietà antinfiammatorie e cicatrizzanti. È dimostrato l’effetto positivo, esercitato dalle fibre solubili, nella diminuzione del colesterolo plasmatico e nel ritardare l’assorbimento del glucosio.
Nella medicina siciliana popolare, per contrastare le coliche renali si consiglia il decotto di fiori essiccati dell’opuntia.
Nel caso di ferite di superficie, si potrebbero sfruttare le mucillagini dei cladodi per le proprietà emollienti, idratanti ed antinfiammatorie.
L’utilizzo del fico d’India è particolarmente interessante anche in cosmesi, per la produzione di creme umettanti, shampoo, saponi, lozioni con azione astringente, e sembra favorire la crescita dei capelli.
Come si usa?
L’uso alimentare dell’opuntia si riferisce ai frutti, ricchi di zuccheri, calcio, fosforo e vitamina C; possono essere utilizzati freschi oppure destinati alla fabbricazione di liquori, gelatine, marmellate, dolcificanti e succhi. Persino i cladodi sono sfruttati dall’industria alimentare: vengono conservati sotto aceto o canditi.
Il fico d’india può essere usato anche come foraggio.
In Sicilia si ha la tradizione di produrre un particolare sciroppo dalla polpa priva di semi: è utilizzato per preparare dolci rustici tipici.
Raccomandazioni
Il frutto non dev’essere mangiato in quantità eccessiva: potrebbe provocare, infatti, blocco intestinale; è per questo sconsigliato nelle persone che soffrono di diverticoli intestinali.
Quanti fichi d’India si può mangiare? E in caso di diabete?
Il frutto non dev’essere mangiato in quantità eccessiva, onde evitare il rischio di blocco intestinale.
E’ fortemente sconsigliato alle persone che soffrono di diverticoli intestinali.
Per le persone sane, il fico d’india può essere consumato nella stessa porzione di quialsiasi altro frutto dolce. Diciamo approssimativamente tra i 150 e i 450 g al giorno.
Anche in caso di diabete mellito, il fico d’india può essere mangiato “normalmente“, a patto che il carico glicemico complessivo, quello dei pasti e l’apporto energetico totale rientrino nei parametri della terapia nutrizionale contro questo dismetabolismo.
Caratteristiche botaniche
Il fico d’india appartiene alla famiglia delle Cactaceae e rappresenta una pianta succulenta che può spingersi fino a 5 metri d’altezza.
I cladodi (o pale, impropriamente chiamate foglie) costituiscono il fusto e si raggruppano formando ramificazioni. Sono ricoperti da una pellicola cerosa che protegge la pianta dall’eccessivo calore, impedendo la traspirazione e proteggendola da un possibile attacco da parte dei predatori.
Dopo quattro anni di sviluppo, i cladodi subiscono una lignificazione, costituendo un vero tronco. Anche l’opuntia, come tutti i cactus, delega la funzione clorofilliana al fusto e non alle foglie; queste sono piccolissime e si trovano solamente nelle pale giovani. Le areole, alla base delle foglie, si sviluppano in spine o in radici particolari chiamate glochidi, oppure in fiori.
Anche il frutto carnoso è coperto da areole; alcune varietà di fico d’India possono non avere spine: il colore della bacca carnosa può presentare una colorazione giallo-arancione, rossa o bianca. Il sapore è dolce e piacevole.