Di Giuseppe Francesco Sportelli
Le prove sono state condotte in sette aziende olivicole comprese fra Molise, Puglia e Abruzzo, provando più di 25 cultivar. I risultati presentati in un convegno a Termoli (Cb)
Sulla base dei risultati di esperienze quadriennali condotte in sette aziende olivicole sul nostro territorio, fra Molise, Puglia e Abruzzo, possiamo affermare che ci sono alcune cultivar italiane con cui si può fare olivicoltura a parete. Se queste prime osservazioni saranno confermate, l’olivicoltura a parete con cultivar italiane potrà essere diffusa in aree collinari non irrigue e potrà svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo olivicolo, e quindi economico, di queste zone».
È quanto ha affermato Pasquale Ciuffreda, agronomo esperto di olivicoltura, in occasione del convegno “Olivicoltura a parete con cultivar italiane: risultati di esperienze pluriennali” organizzato dal Vivaio Verde Molise di Termoli (Cb) nella stessa città molisana, con la partecipazione di oltre 300 agricoltori e tecnici agricoli provenienti da numerose regioni dell’Italia centro-meridionale.
L’olivicoltura a parete
Ma che cosa è l’olivicoltura a parete? Ciuffreda ha spiegato che è un sistema colturale più flessibile rispetto al modello superintensivo (Super High Density, SHD) di origine spagnola.
«Il modello SHD in Spagna ha raggiunto 200.000 ha, pari al 10% della superficie olivicola, invece in Italia fino al 2019 copriva appena 4.500 ha, lo 0,5% della superficie olivicola nazionale! L’olivicoltura a parete è più adatta al territorio italiano proprio per i suoi caratteri di maggiore flessibilità:
- sesti d’impianto più larghi (densità più basse);
- parco varietale più ampio (allargato a più varietà italiane);
- possibilità di conduzione dell’impianto in asciutta;
- estensione nelle zone collinari più marginali;
- sempre a raccolta in continuo;
- sempre con bassi costi colturali rispetto all’olivicoltura tradizionale».
L’obiettivo della ricerca sperimentale
L’obiettivo della ricerca sperimentale promossa dal Vivaio Verde Molise è stato «capire se nel germoplasma olivicolo nazionale ci sono cultivar, popolazioni o biotipi censite e sconosciute che possano essere adattate al modello di olivicoltura a parete. Per perseguire questo obiettivo abbiamo realizzato nel 2018, in collaborazione con alcune aziende agricole, degli impianti dimostrativi con cultivar scelte in base a una valutazione preliminare dell’habitus vegetativo, che si avvicinasse il più possibile all’ideotipo spagnolo, per i seguenti criteri:
- radicabile da talea, infatti non esistono e/o è messa in discussione l’utilità di portainnesti nanizzanti;
- rapido accrescimento nella fase di allevamento;
- precocità di produzione: le piante devono iniziare a produrre dalla terza vegetazione;
- ridotto vigore vegetativo (internodo corto);
- minori diametri del tronco, delle branche e dei rami: se la pianta risparmia in strutture di sostegno, cioè produce meno legno, a parità di siti potenzialmente produttivi (nodi dei rami di un anno), avrà più riserve da spendere per la produzione;
- efficienza produttiva (kg/cm²), cioè rapporto tra la produzione per pianta (kg) e l’area della sezione del tronco (cm²);
- habitus semieretto e compatto, che agevola la raccolta con la scavallatrice;
- chioma densa (superficie fogliare/volume chioma) data dalla maggiore ramificazione: consente alla cultivar di infittire la vegetazione e ridurre lo sviluppo volumetrico della chioma a parità di rami prodotti;
- produzione sempre elevata e costante grazie ai seguenti fattori:
- maggiore ramificazione, maggior numero di fiori;
- capacità di fiorire su rami poco vigorosi;
- infiorescenze con elevato numero di fiori (>25);
- allegagione alta (4-5%);
- autocompatibilità del polline;
- bassa alternanza fisiologica;
10. poca suscettibilità alle principali malattie, che potrebbero debilitare la chioma (occhio di pavone, rogna, verticilliosi)».
Le cultivar provate in campo
Nell’ambito della ricerca, ha illustrato Ciuffreda, sono state scelte e provate più di 25 cultivar, allevate (con sesto di impianto di 4,0 x 1,5 m) in sette aziende diverse su superfici variabili da 0,5 a 1 ha.
«Le cultivar utilizzate sono state:
- le standard spagnole, Arbequina e Arbosana,
- le nazionali Leccio del Corno, Maurino, Diana, Itrana e Ascolana
- e le locali Peranzana, Peranzana clone, Morosina, Olivastro di Montenero, Olivastro belvedere, Nociara, Piantone di Mogliano, Lorenzella, Rotondella, Nociara, Grognalegna, Oliva nera di Colletorto, Cornarella, Sperone di gallo, Olivastro di Morrone, selezione di Ordinaria di Vasto, Coroncina, Carboncella, Cerasuola di Palata, Calatina e altre ancora».
Tutti i risultati della ricerca sperimentale condotta in oliveti di Molise, Puglia e Abruzzo verranno presentati nel fascicolo n. 2/2024 della rivista “Olivo e Olio”.