L’irrancidimento dell’olio di oliva

Decadimento fisiologico e modificazione ossidativa

di Alessandro Vujovic

Da un punto di vista chimico l’irrancidimento di un grasso, sia esso solido che liquido, è una reazione spontanea che dipende dalle condizioni ambientali; consiste in un processo di ossidazione determinato dai “radicali liberi”, intendendo con questo termine atomi o molecole con elettroni spaiati nell’orbitale più esterno, in presenza di ossigeno dell’aria con le molecole energeticamente attivate.

Quindi le condizioni necessarie per l’irrancidimento sono:
1) la presenza di acidi grassi con “particolari” insaturazioni della molecola;

2)
 il contatto con l’ossigeno dell’aria oppure con quello dissolto nel liquido (nell’olio il contenuto medio dell’ossigeno è 2,2 mg/L con un range di 0,2-6,3 mg/L (1). Quasi tutte le apparecchiature impiegate nella lavorazione del frutto emulsionano l’ossigeno dell’aria con l’acqua di vegetazione, con la pasta d’oliva e con l’olio mosto (ad es. il frangitore, le pompe, la centrifuga verticale…). Il separatore centrifugo verticale, a causa dell’alta velocità richiesta per il suo funzionamento, addiziona e dissolve ossigeno all’olio portandolo quasi a saturazione (2). Ciò aumenta i processi ossidativi rilevabili analiticamente sia dal numero di perossidi che dall’assorbimento spettrofotometrico (K232). Infine il separatore verticale riduce lievemente il numero di fenoli contenuto negli oli, quelli a basso peso molecolare, quali idrossitirosolo e tirosolo (3) che sono protettivi nei confronti dell’ossidazione, fin quando non si ossidano a chinoni.
Una particolare caratteristica del problema è quella di cercare di separare, con un metodo fisico (stripping di azoto), l’ossigeno disciolto e presente negli oli appena prodotti. Questo al fine di diminuire la comparsa dei processi ossidativi che accelerano l’invecchiamento durante la shelf life come il gruppo di Piernicola Masella ha evidenziato in precedenti studi (4). Per il produttore di olio di oliva potrebbe essere una possibile soluzione tecnica, quella di procedere alla filtrazione dell’olio mosto, all’uscita dal decanter, senza il passaggio nel separatore verticale.

3) La presenza di un attivatore tale da creare un’eccitazione delle molecole di ossigeno (dallo stato stazionario di tripletto a due stati di eccitazione di singoletto), come la luce, anche a bassa intensità, in presenza della clorofilla oppure il contatto con microparticelle di metalli con la funzione di catalizzatori (ferro, rame, nickel).
Sotto l’esposizione alla luce, come il posizionamento delle bottiglie negli scaffali, l’effetto antiossidante dei composti fenolici è abbastanza limitato (5).

4) Anche le alte temperature, sia di lavorazione che di conservazione, sono un fattore pro-ossidante.
In pratica l’ossigeno dell’aria si fissa agli acidi grassi insaturi formando i perossidi (-O-O-) con una cascata di reazioni a catena, per di più irreversibili. In parole povere quando il meccanismo si è innestato prosegue da solo ed a nulla serve aggiungere, ad un olio con perossidi alti, un altro olio fresco, ricco di antiossidanti, perché questo supplemento non riesce ad interrompere la reazione già iniziata.
Quindi tutti gli oli di oliva – fisiologicamente – prima o poi diventeranno rancidi, anche se conservati nelle migliori condizioni ambientali (temperatura costante tra 12-15°C, assenza completa di luce, presenza di gas inerte, sullo spazio di testa del contenitore, come azoto o argon), chiaramente se non consumati prima. È consigliabile aggiungere una gocciolina di azoto liquido alla sommità della bottiglia, al momento dell’imbottigliamento, per sostituire l’aria con questo gas inerte.

Questo decadimento “fisiologico” dell’olio viene rallentato, sia dalle condizioni ottimali di conservazione ma, soprattutto, dalla qualità/quantità di molecole antiossidanti presenti, come i composti fenolici, i tocoferoli (vitamina E), i carotenoidi (provitamina A), le clorofille (solo al buio mentre, in presenza di luce, sono attivatrici dell’ossigeno), lo squalene, in pratica tutte molecole che riescono a “spegnere” (quenching) i radicali liberi.

Anche il contenuto di acido oleico, senza che esso sia un antiossidante, ha un ruolo importante, perché pur avendo un legame insaturo (monoinsaturo, MUFA), è difficilmente ossidabile, rispetto agli acidi grassi polinsaturi (linoleico e linolenico, PUFA). Ciò è dovuto, nella molecola dell’acido oleico, all’assenza del gruppo CIS-CIS-1,4 pentadiene (-CH=CH-CH2-CH=CH-) dove il gruppo metilico -CH2- è il punto critico di attacco dell’ossigeno in quanto richiede pochissima energia, solo 75-80 Kcal per mole per allontanare un atomo di idrogeno (reazione di ossidazione) (6).

Il parametro che esprime lo stato di ossidazione di un olio di oliva è il cosiddetto “numero di perossidi”, individuando con questo termine il grado di modificazione ossidativa di un olio, sinonimo di degradazione e di decadimento della qualità merceologica.
In base alla normativa vigente il numero dei perossidi viene espresso in milliequivalenti di ossigeno attivo per chilo di olio (mEq O2/kg) ed il limite è di 20,0 mEq O2/Kg, (sia per l’olio extravergine che per quello vergine) al di sopra del quale l’olio è classificato come lampante, mentre più basso è questo valore, più a lungo l’olio manterrà la sua durata nel tempo e risulterà maggiormente ritardata la possibilità di irrancidimento.

L’olio di oliva raffinato e l’olio di sansa raffinato hanno il limite a 5,0 mEq/Kg in quanto il riscaldamento degrada i perossidi e la deodorazione asporta le molecole derivate dalla loro decomposizione. L’olio di oliva, composto da “oli raffinati e oli di oliva vergini”, ha il limite di 15,0 mEq/Kg.

Quali sono le principali cause dell’aumento dei perossidi?
1) I perossidi aumentano per qualsiasi agente patogeno che possa danneggiare l’epicarpo dell’oliva facendo penetrare, per un tempo più o meno lungo, l’ossigeno nella polpa.
Nel caso della mosca dell’olivo (Bactrocera oleae), i perossidi sono correlati positivamente con il numero di fori di uscita delle larve, fori dove la concomitante presenza dell’ossigeno e quella degli enzimi ossidanti endogeni (lipossigenasi, perossidasi) dà inizio alla perossidazione lipidica. Oltre questi enzimi già contenuti nella polpa del frutto concorrono, a questo meccanismo degradativo, gli enzimi esogeni, relativi alla presenza di batteri e di funghi che hanno colonizzato la polpa marcia delle olive infestate.
Inoltre il danneggiamento biotico della polpa porta alla liberazione, tra i vari enzimi, anche la lipasi che idrolizza i trigliceridi aumentando gli acidi grassi liberi, tra questi i polinsaturi (PUFA) che saranno poi il substrato dell’ossidazione.
L’infestazione da mosca è rappresentata, a volte, in modo più evidente dal “numero dei perossidi” che “dall’acidità libera” per la penetrazione dell’ossigeno nei fori di uscita e il ruolo degli enzimi ossidativi rispetto alla lipolisi (lipasi) che scinde i trigliceridi in acidi grassi liberi e glicerolo. Quindi il processo di perossidazione lipidica è più deleterio per la qualità dell’olio rispetto all’idrolisi dei trigliceridi, perché una volta innescato si automantiene nel tempo portando all’irrancidimento del prodotto.
Ma è stato dimostrato anche che gli “acidi grassi liberi” provocano un’accelerazione della degradazione ossidativa a causa dell’azione dei gruppi carbossilici degli acidi (-COOH) sugli idroperossidi (-O-O-) degli acidi grassi, che vengono così decomposti con produzione di radicali.
L’acidità quindi rende più breve la conservazione dell’olio, per l’effetto idrolitico promotore dell’azione ossidante.
Per questo motivo è fondamentale separare quanto prima l’olio dalle acque di vegetazione, ma anche dai sedimenti, che contengono gli enzimi degradativi. Un valore del numero dei perossidi è buono se è al di sotto di 10-12; mentre se superiore evidenzia un processo di ossidazione primaria già avviato ed irreversibile.

2) Il tempo trascorso tra la raccolta e la frangitura soprattutto quando il frutto è stato danneggiato durante l’abbacchiatura (agevolatori che colpiscono violentemente il frutto, ammaccandolo, con inizio già da subito dei processi ossidativi)

3) Tra le cause anche il raggrinzimento del frutto, a seguito di una prolungata siccità, seguita dalla disponibilità di acqua: l’imbibizione e rigonfiamento del frutto potrebbe determinare microlacerazioni dell’epicarpo.

4) Un’abbondante piovosità causa una maggiore fragilità del tegumento esterno che con la raccolta potrebbe danneggiarsi; una concomitante temperatura elevata peggiora il rischio ossidativo.

5) Il numero dei perossidi aumenta con la sovramaturazione del frutto.

6) I perossidi possono subire un leggero incremento anche durante la fase di trasformazione, se si prolunga eccessivamente la gramolazione a temperature superiori ai 32° C, o per la presenza di metalli, anche se in tracce, oppure per contatto dell’olio con le morchie.

7)
 Il valore dei perossidi dipende anche dalle condizioni estrattive come ad es. è inversamente correlato alla velocità del cilindro rotante del decanter e direttamente correlato al contenuto di acqua immessa nella pasta di oliva. I livelli di acidità e di perossidi dell’olio di oliva sono inversamente proporzionali alla velocità del decanter e direttamente correlati alla temperatura di gramolazione e al contenuto di acqua (7).

8)
 Il deterioramento maggiore della qualità è stato osservato nei campioni conservati con un ampio volume dello spazio di testa. Di conseguenza anche le bottiglie, da utilizzare preferibilmente con i volumi più piccoli possibili, andrebbero chiuse tra un consumo e l’altro.
La conoscenza del numero di perossidi non è sufficiente a definire lo stato di ossidazione dell’olio EVO. Difatti, dopo una prima fase lenta di induzione dell’ossidazione lipidica, segue un aumento del processo in modo esponenziale (fase di propagazione), infine si conclude con una fase di terminazione dove i perossidi si decompongono. Al termine di queste tre fasi il “numero dei perossidi” subisce un decremento, in quanto queste molecole si decompongono per formare costituenti ossigenati a basso peso molecolare, tra l’altro volatili. Per tale motivo, l’evoluzione ossidativa dell’olio deve tenere conto anche di altri parametri di “qualità” come gli indici spettrofotometrici. Questi sono misure dell’assorbimento della luce ultravioletta da parte dell’olio espressi da coefficienti di estinzione K e delta K.
Quindi oltre i perossidi va determinato l’assorbimento spettrofotometrico alla lunghezza d’onda di 232 nanometri (K232), in riferimento all’ossidazione primaria, ed a 270 nanometri (K270), come valutazione dell’ossidazione secondaria legata alla formazione di aldeidi e chetoni volatili (difetto di rancido percepibile organoletticamente).

Poiché i perossidi di per sé non hanno né sapore né odore, nell’ossidazione primaria questi non sono percepibili sensorialmente come difetti mentre nell’ossidazione secondaria li avvertiamo perché si sviluppano molecole che ritroviamo nello spazio di testa. Anzi, poiché queste molecole, essendo volatili, fuoriescono dal liquido, potremmo percepire sensorialmente il difetto di rancido ed avere il K270 normale. Quindi l’esame sensoriale è più sensibile nel rilevare l’ossidazione secondaria rispetto alla primaria. L’esame chimico-spettrofotometrico è più sensibile nella fase primaria (induzione) quando ancora non si sono decomposti i perossidi e quindi non si sono liberate dal liquido le molecole caratteristiche del difetto.

L’attributo rancido è un difetto sensoriale ampiamente studiato dovuto alle molecole di eptano, E-2-eptenale, 2,4-eptadienale, 2-eptanolo, nonanale, 2,4-nonadienale e composti volatili decanali.
Dall’analisi chimica dei composti di degradazione possiamo risalire a quale acido grasso insaturo è stato ossidato ma addirittura in quale posizione della molecola si è introdotto il gruppo idroperossido.
È stato proposto, come sensore dell’ossidazione precoce nell’olio extra vergine, il livello dell’aldeide (E)-2-nonenale suggerendo anche che la sua misurazione potrebbe essere monitorata nel tempo, dai produttori, per seguire la degradazione dell’olio EVO (8).

(1) Masella P. et al. 2023. Postextraction monitoring of dissolved oxygen in virgin olive oil. Eur. J. Lipid Sci.Technol.;2300082.
(2) Parenti A. et al. 2012-14, Nuove tecnologie per la filtrazione di olio extra vergine di oliva. PromoFirenze Azienda Speciale della CCIAA di Firenze.
(3) Masella, P. 2009. Influence of Vertical Centrifugation on Extra Virgin Olive Oil Quality. J. Am. Oil Chem. Soc. 86(11), 1137–40
(4) Masella P. 2010. Nitrogen stripping to remove dissolved oxygen from extra virgin olive oil. Eur J Lipid Sci Technol. 112(12), 1389–92.
(5) Parenti A. et al. 2010. Stainless Steel Bottles for Extra Virgin Olive Oil Packaging: Effects on Shelf-Life, Packag. Technol. Sci.; 23: 383–91.
(6) Vujovic A. 2020. L’olio di oliva tra storia e scienza. pg 146-152. Tozzuolo Editore, Perugia.
(7) Akbarnia A. et al. 2019.Effect of temperature, water content and velocity on the quality of virgin olive oil extracted through three-phase centrifuge. Agriculture and Food, 4(1): 165–76.
(8) Caipo L. et al. 2021. Effect of Storage Conditions on the Quality of Arbequina Extra Virgin Olive Oil and the Impact on the Composition of Flavor-Related Compounds (Phenols and Volatiles). Foods, 10, (9);2161.

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